Alemanno e gli altri cosacchi
Può darsi che Alessandro Sallusti (al quale va ogni augurio di guarigione) abbia nuovamente bisogno di farsi aiutare da Vittorio Feltri, come si dice: il Giornale non ha guadagnato neanche una copia dalla campagna elettorale più dura che Milano ricordi, condotta da Sallusti senza risparmio.
Ma non sarebbe giusto, visto il potere di leadership che Sallusti è riuscito a esercitare, anche sullo stesso Berlusconi, nonostante che la linea ultrà non abbia procurato né copie vendute, né voti nell’urna e neanche una decente audience nei talk-show e nei telegiornali L’abbiamo visto anche ieri.
Mentre Vanity Fair pubblicava un’intervista nella quale Sallusti liquidava la Moratti come uno straccio usato, Berlusconi confermava che esattamente questa sarà, da lunedì, la sua personale via di fuga dalla sconfitta: scaricarla sui candidati inadatti.
Con l’aggiunta della “soluzione Zapatero” (in verità tentata anche da Mubarak e Ben Ali, in altre condizioni): rimango fino alle prossime elezioni poi, «se c’è un altro», non mi ricandido.
Per Berlusconi, prendere le distanze dalle elezioni comunali dopo averne dichiarato la straordinaria politicità di test sul governo nazionale è una soluzione banale, ovvia, ancorché improbabile.
La promessa di farsi da parte vale come tutte le altre sue promesse, pubbliche e private: chiedere a chi, da decenni, ne è rimasto fregato.
Ma sacrificare la dignità dei candidati e far intravedere un liberi tutti per la successione non rimarrà senza conseguenze: già da oggi nel Pdl ci si guarda in faccia chiedendosi chi sarà il prossimo a venire scaricato, chi verrà lasciato indietro o fatto fuori nella guerra per l’eredità. E chi può, come può, scalpita, si dimena, prova a cavarsela da sé.
Alemanno è la figura tipica di questa categoria. Ma l’esercito di cosacchi che insegue non sarà, politicamente parlando, così clemente: nessuno sconto per Berlusconi, ma neanche per chi in nome suo ha sgovernato in giro per l’Italia e ora prova a parlar d’altro, a travestirsi da altro.