Santanché sindaco
C’è un suono sinistro per Letizia Moratti nelle dichiarazioni rese ieri a Roma al termine dell’ennesimo vertice del Pdl. Sia nelle parole di La Russa: «I partiti che sostengono la Moratti sono oltre il 50 per cento» (i partiti forse, secondo la sondaggista amica Ghisleri. La candidata sicuramente no). Sia in quelle di Berlusconi, che vorrebbero essere incoraggianti ma annunciano la presenza massiccia del presidente del consiglio nella campagna di Milano.
Questa sarebbe stata una buona notizia per qualsiasi candidato locale del Pdl, in qualsiasi momento del passato. Ma per la Moratti, in questa primavera del 2011? In questa Milano che s’è scoperta disincantata, in rottura aperta con il proprio sindaco ma anche fredda con colui che pretende di rappresentare l’anima più profonda della città?
L’impressione che si è avuta durante il caso Lassini è che la Moratti non voglia vedere la propria campagna, già difficile, invasa dalla guerra privata di Berlusconi con la procura di Milano. Ancor peggio se, oltre ai giudici, Berlusconi decidesse di colpire anche il politico più amato dagli italiani, milanesi compresi, cioè Giorgio Napolitano.
Invece proprio questo sta accadendo, e accadrà. Berlusconi conosce una sola modalità di battaglia elettorale: se deve rimontare, non si limita a inviare letterine a casa della gente. Scatena l’inferno, alza polveroni, si erge a vittima, denuncia complotti e nemici. La linea Lassini è la sua linea, come quella del Giornale e di Libero. Contano zero gli appelli alla moderazione dei leghisti, del Foglio, dei pidiellini “romani”. La buffa proposta di legge Ceroni contro il Quirinale non andrà da nessuna parte, ma è esplicativa dei veri umori degli ultrà berlusconiani, vere e proprie Brigate azzurre ormai largamente fuori controllo.
A destra è il tempo delle Santanchè, non delle Moratti. I milanesi però potrebbero decidere di farla finita con entrambi i modelli, intrecciati fra loro: il primo non risolve i problemi della gente perché esiste solo per crearne di nuovi; il secondo non li risolve perché, banalmente, non ne è capace.