Non siamo zimbello, siamo inutili
Ora forse possiamo capire meglio che cosa significa avere una leadership nazionale screditata, logorata, impossibilitata a tener botta sulla scena mondiale, interprete solo di se stessa e non di un paese unito.
Ora che francesi e inglesi concordano fra loro, e con gli americani, linee di intervento sulla Libia, candidandosi a diventare i tutori di quella che ancora l’Italia pretendeva fosse la sua quarta sponda. Ora che i ministri della difesa si riuniscono con la Nato a Budapest, e il loro collega italiano deve rimanere a Roma per votare la fiducia a un decreto chiamato milleproroghe (e poi si arrampica pateticamente sugli specchi: non sapevo, ma era una riunione informale, ci sta il nostro ambasciatore, magari li raggiungo più tardi…).
Ora che Draghi deve aprirsi la strada verso la Bce con le sue uniche forze, sostenuto da Napolitano e tiepidamente da Tremonti, con il presidente del consiglio che può rendersi utile solo scomparendo.
Ora che Maroni può ritrovarsi svillaneggiato dai suoi pari grado del Nord Europa, sicuri che l’Italia possa essere trattata dall’alto in basso senza conseguenze.
L’apparizione di Gheddafi nella piazza Verde, ieri sera, è il rantolo cupo di un tormento che durerà ancora, farà vittime, arrecherà danni e finirà chissà come e quando. Intanto però l’Italia ha già perduto la sua ultima campagna di Libia. Gli italiani che sono laggiù rischiano e sono guardati male, da entrambe le parti, per motivi antichi e recenti. A livello diplomatico, invece del ruolo di player principale recitiamo quello dell’anello debole, chiaramente azzoppati proprio da quella special relationship col dittatore che pensavamo ci rendesse i più competitivi. Rischiamo tantissimo, dunque, per prospettive grigie.
Nel quotidiano la vita politica italiana è ridotta a misera cosa, si trascina fra gossip e polemiche.
Ma è nell’emergenza che ci rendiamo conto di esser messi anche peggio di così. Di essere, banalmente, un paese inutile.