Sindaco per sbaglio
Se non fossero in gioco i destini di una grande metropoli disperatamente lasciata a se stessa, la prematura crisi del fenomeno Alemanno sarebbe un interessante caso di studio. Titolo: scenari di destra dopo la fine di Berlusconi.
È noto che il Campidoglio è un accidente nella carriera che l’ex capo del Fronte della gioventù immaginava per se stesso. Alemanno non voleva candidarsi contro Rutelli, per giocarsi nell’ultima legislatura con Berlusconi premier la partita della successione. Trovatosi a fare il sindaco per una serie di circostanze (che il centrosinistra non ha mai elaborato, come dimostra lo stato pietoso del Pd romano), Alemanno ha provato a usare la carica per lo stesso obiettivo.
La crisi di oggi va inquadrata nell’agonia generale del Pdl, ma lascia anche intravedere quale sia la pratica e la cultura politica del centrodestra appena fuori dalla stretta orbita di palazzo Grazioli. Come hanno sintetizzato D’Alema e Veltroni: un ritorno pieno ai riti più deteriori della Prima repubblica.
L’incontro preventivo con due dei capicorrente del Pdl nazionale, Cicchitto e Gasparri; la chiamata di tutti i bonzi del partito romano, per cogestire il rimpasto della giunta; l’incastro fra crisi capitolina e allargamento della maggioranza nazionale, troncato sul più bello dall’Udc. Esattamente l’opposto di quanto avrebbero fatto, e in effetti tuttora fanno, i sindaci capaci di far valere l’ultimo residuo positivo della Seconda repubblica: il potere del sindaco eletto direttamente dal popolo; la sproporzione fra la visibilità e la responsabilità personale del sindaco agli occhi dei cittadini, e l’apparato dei partiti che lo sostengono ma che in realtà – con l’attuale meccanismo elettorale – sono aggregati alla forza del primo cittadino.
Non è qui la sede per verificare se questa anomalia dei sindaci sia stata felice o infelice, e se la sua sopravvivenza laddove i sindaci sono forti sia un dato positivo o no. Com’è noto, anche nel Pd c’è una corrente nostalgica che vorrebbe restaurare la centralità dei partiti anche a livello locale, a prescindere dalla qualità dei gruppi dirigenti in questione.
Il fatto è che Alemanno ha già consumato tutta la credibilità personale del sindaco eletto a sorpresa dal 54 per cento dei romani. La grande novità preannunciata dalla fine dell’egemonia progressista sul Campidoglio s’è spenta fra patetiche Parentopoli, comiche correzioni di rotta su decisioni importanti, impuntature su progetti impopolari (tipo Formula 1), mentre la sicurezza promessa alle periferie non è mai arrivata, le buche nelle strade non sono state colmate e i servizi sono nettamente peggiorati.
A conferma della sua ottica nazionale, Alemanno ha soprattutto cercato di costruirsi una propria rete di relazioni con i poteri romani – alla fine, gli immobiliaristi – ai quali ha fatto ampie concessioni in cambio sostanzialmente di nulla. Il risultato è che non ha più credibilità come sindaco che difende Roma (offrendo la pajata a Bossi). Mentre il suo peso nazionale è aumentato, ma non nel senso sperato, bensì perché il Campidoglio è diventato… un peso in più per Berlusconi.
L’unico punto a favore dell’ex ragazzo nero è la solidarietà che ancora riceve dagli amici separati del Secolo d’Italia: un po’ perché rimane vivo lo spirito tribale e la destra ex missina a Roma è rimasta coesa; un po’ perché la caduta di Alemanno – diversamente da quella nazionale di Berlusconi – non darebbe alcun vantaggio agli scarsi finiani romani.
Rimane il rito barocco del rimpasto di giunta, attenti perfino all’ultima correntucola del Pdl locale (quello che fece il macello delle liste regionali), appesi fra un Pallone e un Antoniozzi, e tutto di corsa per non sfigurare domani davanti al Papa. Se è così che deve funzionare il primo partito d’Italia quando non c’è di mezzo Berlusconi e sono all’opera i suoi aspiranti eredi, arrivano davvero tempi cupi a destra.