La vita vera è questa
Ieri sera, di nuovo, gran teatro. Audience ovviamente pazzesca: Annozero è andata vicino a sei milioni e mezzo. La compagnia di giro si affida ai personaggi fissi – Belpietro, Travaglio, De Gregorio, Mentana – ma poi c’è la guest star che assicura il botto. E grazie alla goffaggine di Mauro Masi, Roberto Saviano si è ormai trasformato, da testimonial positivo e apolitico dell’impegno intellettuale contro il crimine, in accusatore vivente delle ristrettezze mentali e delle velleità censorie del berlusconismo morente. Ieri sera gli hanno imposto (si è fatto imporre) una ulteriore trasformazione, non in meglio: punto di riferimento alto di un dibattito piuttosto basso sui compensi dei conduttori, l’entità dei contratti Rai, le anzianità di servizio. Una discussione da anticamera dell’ufficio del personale. Ma a sei milioni e mezzo quasi di italiani è andata bene così, dunque amen.
La televisione si avvolge sempre più intorno a se stessa, produce virus e antivirus, mostri e cavalieri, vittime e carnefici. Nei titoli di testa dei giornali, dove una volta campeggiavano il dibattito politico e lo scontro sociale, ora si alternano Minzolini e Gabanelli, Santoro e Feltri, Fazio e Floris, Dandini e Vespa.
Nessuna sorpresa che il popolo, di destra e di sinistra, si sia ormai fatto declassare in pubblico, pura tifoseria televisiva, nella convinzione che il prevalere della propria parte possa dipendere dal miglior sermone di Travaglio, dalla più bella vignetta di Vauro, dal più acido commento di Belpietro. Anche la rete s’è arresa al vecchio medium che pretendeva di sostituire: alla vigilia dei talk-show più caldi si eccitano forum e gruppi d’ascolto; la mattina dopo lo scontro fra i big è replicato in versione povera, con l’unica originalità del linguaggio senza limiti.
La politica insegue, reclama spazio, si adegua all’agenda dei conduttori, accetta ogni tema pur di esserci. Per tanti eletti dal popolo la materia prima di lavoro non sono il fisco, i rifiuti, la disoccupazione, ma il contratto di Benigni, i moniti al Tg1, la sospensione di Santoro: è anche il prezzo da pagare per essere poi ammessi a battersi nell’arena.
Banale dire che la vita vera rimane fuori, perché ormai sappiamo che invece la realtà attraversa lo schermo e ne è in gran parte prodotta. Siamo rassegnati alla videocrazia bipolare, la studiamo e ci muoviamo ai suoi margini, evitiamo il passatismo, aborriamo ogni snobismo. Solo, preferiremmo che non chiamassero questo infinito show libertà di stampa.