Internazionale, Rocca e Obama
Mi pare perfino superfluo rilevare che Internazionale e il suo Festival di Ferrara non sono il male assoluto nella stampa italiana, come ha imprudentemente scritto Christian Rocca, e se per questo neanche il male relativo. Anzi li metterei di corsa nella colonna del bene, oserei del bene relativo. Non mi spingo fino al bene assoluto intanto perché conosco solo qualche assoluto ed è tutto fuori dalla politica e dal giornalismo, di solito si tratta di sentimenti, di musica e di tifo calcistico. E poi perché alcune delle firme che ritrovo su Internazionale non convincono neanche me, compreso Ramadan e compreso Robert Fisk che nel Medio Oriente ci sta da maestro, sì, ma ho conosciuto pochi maestri più unilaterali e parziali di lui: libero lui di esserlo, libero io di fidarmi molto relativamente. Appunto.
Va da sé anche che Rocca non è l’ultima raffica del bushismo, meritevole del contro-linciaggio che gli hanno riservato qui alcuni lettori del Post. Ha una sua peculiare convinzione sull’America e sul mondo, a volte ci ha preso e più spesso no, secondo me: però è uno col cui punto di vista mi piace fare i conti. Stavolta ha fatto un errore trascinato dalle sue idiosincrasie, ha bombardato un luogo di libera discussione solo perché lì parlava anche gente che lui non sopporta.
Forse andrebbe invitato a Ferrara, una volta che si fosse fatto perdonare per la comica demonizzazione del mite Giovanni De Mauro. Così vedrebbe da vicino, e gli piacerebbe, lo spettacolo di migliaia di ragazzi che sciamano da un dibattito all’altro – alcuni davvero ostici – in un’era e a un’età in cui al massimo si sciama da un pub all’altro.
A me questo piacere è toccato quest’anno – ok, il dibattito sulla destra americana non era segnalato dal Post come meritevole, ma si sa che il Post è il male assoluto – e vorrei dare una notizia a Rocca: uno dei suoi nemici personali, Alexander Stille, che convince pochissimo anche me quando fa il grillino in Italia, quando parla di Usa, Obama e dintorni è persona pacata, ragionevole, equilibrata e ben informata.
E se Rocca fosse stato presente a quella discussione di sabato scorso, avrebbe dovuto confrontarsi con una contraddizione, circostanza che farebbe bene a lui perché fa bene a tutti: la tesi che lui propugna spericolatamente in Italia (Obama come Bush, stessa politica estera, stesse guerre, stessa ricette anticrisi eccetera) è identica alla lettera ai deliri di un simpatico ex hippie come Joe Bageant, cantore socialista del white trash, il proletariato bianco anti-sistema che barcolla pericolosamente dai Tea Party al paleo-marxismo.
Anche Bageant (e l’altro anti-elitista del mio dibattito, Thomas Frank, però molto più raffinato, piacione e astuto, non a caso tra i pundits della Fox ed ex columnist del Wall Street Journal) pensa che Obama sia la reincarnazione di Bush (“il bianco più nero che i capitalisti hanno trovato per fregarci”). Come vorrei vederli in un bel dibattito, il barbuto pacifista ex veterano del Vietnam e il fogliante-riottiano Christian Rocca, darsi ragione ai danni del povero Obama, sia pure da posizioni opposte.
Solo Internazionale potrebbe ospitare un incontro così. Nel caso, però, io proporrei al pubblico di lasciarli da soli e chiuderli dentro al teatro finché non rinsaviscono.