Bastardo posto
È stata una bella festa. Un buon concerto. Una serata speciale per un sacco di gente (per esempio per mio figlio, dodici anni e il suo primo concerto live). E naturalmente, nonostante l’allergia del festeggiato agli eventi, è stato un evento.
Poteva essere addirittura un grande evento, se Francesco Guccini avesse accolto la disponibilità di amici come Ligabue e Vinicio Capossela a suonare con lui mercoledì 30 sera in Piazza Grande a Modena, nel concerto che allo stesso tempo celebrava i suoi settant’anni e il ritorno nella città d’origine (ok, sappiamo tutto, lui in realtà è di Pavana, dunque collina, e con la pianura ha avuto sempre una relazione contrastata, con Modena poi non ne parliamo, piccola città bastardo posto eccetera).
Invece Guccini non ha voluto i big con sé a festeggiarlo. Lui è fatto così, del resto non fosse stato per l’ostinazione di Roberto Alperoli, assessore modenese alla cultura, il concerto dei settant’anni non l’avrebbe fatto proprio, e dunque che Ligabue e Capossela siano rimasti sotto al palco (e poi per la cena infinita del dopo) rimane un dettaglio. La dimensione celebrativa è rimasta ai margini per volontà del celebrato. Volevano venire anche Zucchero, Stefano Benni e tutto lo star system all’emiliana, ma poi tante date non coincidevano e soprattutto lui non era affatto ansioso. A parte i citati, più Carlin Petrini, Enzo Iacchetti e qualcun altro, il resto dei presenti era il popolo gucciniano.
Seimila persone in piedi nella piazza, caldo umido che solo in Emilia, età media ovviamente alta con la consueta compiaciuta sorpresa di quanti giovani, ragazzi e ragazzini si presentino sempre a sentire il poeta delle osterie (“veramente mai stato un grande esperto di osterie”, dice lui per vezzo), conoscendo ogni parola di ogni canzone a parte quelle più ignote e recenti che Guccini piazza implacabile in una scaletta che non ammette deroghe né concessioni.
In effetti, almeno nel cuore di Modena “Piccola città” avrebbe potuto farla, ma da decenni non entra più nei concerti (“e poi a Flaco non piace”), dunque niente. Si erano rassegnati dalla vigilia quelli del Comune, che dalle finestre del loro palazzo hanno allora appeso volentieri un altro striscione di saluto con citazione annessa: “Però non la sopporto la gente che non sogna. Modena ringrazia Francesco”. In effetti, sai che imbarazzo dover appendere “Piccola città, bastardo posto”…
Lasciato il Liga a sudare sotto al palco, il regalo del festeggiato ai modenesi è stato in stile con la mania autobiografica dell’ultimo Guccini (ma in realtà anche del primo, del secondo, del terzo…): la chiamata sul palco di un antico rocker locale, Franco Fini, già immortalato sulle pagine dell’autobiografia gucciniana come l’unico della zona capace di eseguire alla perfezione l’assolo di Be-pop-a-lula. E questo abbiamo avuto: l’assolo del vecchio rocker innamorato dell’America, cinquant’anni dopo.
Per i seimila è stata una bellissima serata. Abbiamo avuto la conferma di una voce e di un’energia mai diminuite (mio figlio di questo era sbalordito: davvero ha settant’anni?), abbiamo sentito qualche vaga battuta su Berlusconi e sulle leggi bavaglio ma soprattutto la selezione del repertorio che aspettavamo: da Canzone per un’amica alla obbligatoria Locomotiva finale, passando per Auschwitz, Dio è morto, Cyrano, Incontro, Farewell, Canzone quasi d’amore, Don Chisciotte, le Osterie fuori porta e l’Eskimo innocente, senza Che Guevara ma con due ormai non-più-così-inediti. Cioè Il testamento del pagliaccio, ironia sull’Italia berlusconica, e Su in collina, un pezzo del 2007 sulla lotta partigiana.
In Piazza Grande la canzone sui partigiani non la conoscono, dunque non si alza alcun pugno chiuso. Ce ne saranno in abbondanza alla fine, quando quel famoso ferroviere cercherà di recapitare la giustizia proletaria ai passeggeri di un Frecciarossa ante litteram. E quando un ragazzino dodicenne vedrà allibito, per la prima e credo unica volta, il suo cinquantenne padre salutare come un perfetto comunista.