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  • Lunedì 29 giugno 2020

L’umanizzazione della tecnologia dopo il coronavirus

Digital Society Index fotografa il nostro nuovo rapporto con l’innovazione tecnologica. L’ansia da tech diminuisce ovunque, in Italia ancora più che altrove.
di Luca De Blasio

La crisi che stiamo affrontando sembra aver generato, tra i suoi effetti collaterali, un miglior rapporto individuale con la tecnologia. È uno degli elementi chiave del panorama che emerge dal Digital Society Index, studio condotto da Dentsu Aegis Network a livello globale, che pone nuova luce sulla nostra relazione con l’innovazione e su cosa questo potrebbe significare per le aziende. La release 2020 della ricerca ha coinvolto 32.000 persone in 22 diversi paesi, con l’obiettivo primario di fornire un’istantanea del sentiment mondiale, al culmine della pandemia.

La principale evidenza riguarda proprio il favore crescente nei confronti della digitalizzazione, con il suo contributo attivo al miglioramento della società: un fenomeno che è stato definito come Tech-love. Un trend che ha visto un’accelerazione importante negli ultimi mesi, quando il lockdown ha stimolato ovunque un grande incremento dell’uso della tecnologia. La ricerca evidenzia come circa un terzo degli intervistati, durante l’isolamento, abbia sfruttato soluzioni digitali per connettersi con gli amici, la famiglia e il mondo circostante; percentuale simile per coloro che si sono affidati alla tecnologia per distrarsi, o che l’hanno sfruttata per acquisire nuove competenze. Il Covid-19 ha infatti stravolto tutti gli aspetti della nostra quotidianità, dalla socialità all’apprendimento, dal consumo all’intrattenimento, generando forti disagi ma anche e soprattutto grandi opportunità. Qui di seguito cercheremo di evidenziarne alcune, soffermandoci sul ruolo delle marche in questo nuovo scenario socio-economico, sempre più alimentato dal motore digitale.


Come sta impattando l’uso della tecnologia sul tuo benessere?

La fase di rinnovato Innamoramento Tecnologico vedrà probabilmente i brand impegnati a trarre nuovi e preziosi insight per la ri-definizione della loro relazione con i consumatori, per darle nuovo slancio. Quello che appare chiaro, perché si possa intraprendere un percorso strutturato e di lungo periodo, è l’esigenza di un radicale processo di “umanizzazione” della tecnologia, dando al digitale uno scopo più profondo e inclusivo. Per le imprese, la sfida è infatti garantire che quest’ultimo sia al servizio delle nuove esigenze della collettività, mettendo il benessere al centro della mission aziendale, per una prospettiva di crescita sostenibile.

In principio era l’ansia da tech
L’analisi di Digital Society Index è parte di un programma pluriennale che vuole indagare il ruolo della tecnologia nella società contemporanea. A partire dal 2018, è stata infatti monitorata a livello globale la percezione della digitalizzazione, esplorando temi quali la fiducia, le infrastrutture e la gestione dei dati personali. Nelle prime release, in molti paesi, emergeva un rapporto problematico con l’innovazione: dalle conseguenze per l’uso eccessivo dello smartphone, alle preoccupazioni per la sicurezza online e per la protezione dei dati. Fino a qualche mese fa, la crescente fiducia nel progresso si scontrava con un’altra tendenza, definita Tech-lash, ovvero l’ansia provocata da possibili impatti negativi della tecnologia sulla vita quotidiana.
Tuttora, per il 57% degli intervistati, il ritmo del cambiamento è troppo veloce. Per uno su due, il digitale sta aumentando il divario tra ricchi e poveri. Il timore nei confronti delle possibili conseguenze negative e di una corsa incontrollata al digitale è un fenomeno che si riscontra ancora con evidenza, soprattutto nelle economie emergenti.

Oggi è tech-love, soprattutto in Italia
Il 2020 è l’anno del Covid, delle quarantene forzate in casa, del lavoro (e degli affetti) a distanza. Ed è quindi un anno di cambiamenti: aumentano le persone che si aspettano un impatto positivo dell’innovazione tecnologica sui livelli occupazionali; aumenta l’utilizzo delle digital skills nel lavoro di ognuno; cresce la fiducia nelle dotazioni tecnologiche proprie e del paese.
Adesso che abbiamo toccato con mano quale impatto può avere la tecnologia nel semplificarci la vita quando tutto il mondo è in crisi, chiediamo con forza che le organizzazioni ci diano più tech per migliorare la società del futuro.

E l’Italia sorprende per Tech-love. Il dato nazionale è sopra la media globale ed è superiore a tutti gli altri paesi europei, quando si indaga il sentiment positivo nei confronti della tecnologia.

Il nostro paese mostra in genere una visione molto positiva del progresso: forte fiducia e ansia ridotta (rispettivamente molto al di sopra e al di sotto della media mondiale). Altra peculiarità del mercato italiano che ha a che fare con tale visione dell’innovazione, riguarda la pubblicità personalizzata, percepita come intrusiva solo dal 35% degli intervistati. Uno dei valori più bassi in assoluto.

Quello che appare evidente è che le nuove esigenze hanno sviluppato una maggiore apertura e consapevolezza nei confronti della digitalizzazione. Quella sorta di “esperimento sociale di massa”, con pochi precedenti nella storia, a cui abbiamo partecipato, ci ha lasciato un’eredità importante: molti si sono affidati e si stanno affidando tuttora alla tecnologia come vera e propria ancora di salvataggio. Ed ecco spiegata la crescita di coloro che credono nella capacità del digitale di risolvere le grandi sfide della società, come salute, povertà, degrado: siamo passati dal 42% del 2018 al 54% del 2020. Dato record per l’Italia, sesta nel ranking mondiale (62%), sintomo ancora una volta della profonda fiducia nella digitalizzazione del nostro paese.

L’innovazione è qui per restare 
Oltre all’impatto diretto sulla salute e sull’economia, il Covid-19 sta portando a una nuova e più articolata dieta mediale. Basti citare la crescita impressionante di home banking, social media e piattaforme di sharing. Per non parlare dell’esplosione di nuove realtà come TikTok e il mondo del gaming, ormai veri e propri fenomeni di massa. Tre persone su quattro sono ora più propense alla fruizione in streaming e all’e-commerce, rispetto all’anno scorso. L’Italia si uniforma al trend globale per quanto riguarda il primo aspetto, segnando leggermente il passo sul secondo (solo 65%), anche se l’accelerazione da lockdown è stata evidente. Tali comportamenti si riscontrano anche tra le fasce più mature. Nei prossimi mesi, nel mondo, due terzi delle persone tra i 55 e i 65 anni faranno acquisti online, mentre circa sei su dieci fruiranno di contenuti in streaming.

La necessità ha portato un vasto pubblico ad accedere, spesso per la prima volta, al digitale, accelerando l’evoluzione e sviluppando cambiamenti culturali destinati a rimanere. È proprio tale adozione cross-generazionale il fenomeno più interessante di questo momento storico senza precedenti.

Un cambio di paradigma che le aziende dovranno necessariamente tenere in considerazione. Un esempio su tutti, l’e-commerce, che diventerà presto commodity, elemento non più negoziabile nella scelta di un prodotto/servizio da parte dei consumatori. La sfida per i brand sarà quindi capire come tali comportamenti evolveranno al di là del momento contingente, per cogliere le opportunità e cominciare a correre alla nuova velocità del consumatore. Per tutti gli altri, la minaccia della perdita irreversibile di rilevanza, per l’assenza di un’offerta capace di rispondere a tali mutate esigenze. Bisogni e pratiche emergenti ma che presto saranno il new standard, globale e cross-generazionale. Possiamo infatti affermare che molte di queste tendenze sembrano destinate a plasmare il nostro futuro, contribuendo ad una profonda ridefinizione delle geografie sociali e culturali.

Tecnologia al servizio del benessere, aziende al servizio della società
Percezione positiva e in crescita anche per l’impatto della tecnologia sul benessere dei cittadini. Ancora una volta l’Italia si discosta abbondantemente dalla media mondiale, esprimendo la netta correlazione tra benessere e qualità dell’ambiente circostante. Nello specifico, l’attenzione si sta sempre più focalizzando su come le soluzioni digitali possano soddisfare bisogni personali di piacere, scoperta e connessione.
Lo studio mostra come le priorità nei confronti della tecnologia varino in base all’età: le fasce più mature mettono al primo posto la capacità di sentirsi connessi. I giovani si focalizzano invece sui vantaggi dell’apprendimento digitale, sia come sostituto della didattica tradizionale, sia come veicolo per emergere nel mercato del lavoro, mai così dinamico.

In pratica, la pandemia ci ha portato dritti dentro una nuova era, che potremmo definire post-digitale. Abbiamo imparato, grazie a lavoro, formazione e gestione delle relazioni a distanza, che la tecnologia può concederci innumerevoli benefici.
Da domani, non vi sapremo più rinunciare, anzi li daremo sempre più per scontati, un nostro diritto, un nostro “braccio” in più. Con la nuova prospettiva, la differenza tra digitale e non sarà sempre meno rilevante.
In presenza o a distanza; e-commerce o in store; online o offline: sceglieremo di volta in volta ciò che ci è più conveniente.

Questo crescente ottimismo verso la digitalizzazione si traduce, come anticipato, in una crescita delle aspettative verso tutti gli stakeholder. Ci aspetteremo di più, dalle istituzioni come dalle aziende.

Alle aziende verrà chiesto sempre più di utilizzare le specifiche competenze digitali per agire sul bene comune, aumentando l’impatto sociale. Due terzi degli intervistati si aspetta che le organizzazioni facciano leva sul processo di digitalizzazione per migliorare il benessere della collettività. Questa convinzione è particolarmente radicata in alcuni paesi, come si è visto: per il 75% degli Italiani e addirittura per l’80% in Sudafrica, Cina e Messico.

Le imprese dovranno concentrarsi sulla creazione di soluzioni su misura che incidano sul miglioramento della vita delle persone: per fare questo è necessario un cambio di paradigma, passando dal focus sulla singola transazione al customer lifetime value, bypassando l’approccio ormai obsoleto della visione per quarter. In questi mesi, fornire supporto per generare esperienze di valore è una priorità assoluta, ma dovrà esserlo anche e soprattutto in futuro.

Bisogno di fari culturali
In un momento storico come questo, dove i consumatori adottano comportamenti schizofrenici perché indecisi e spaventati, il ruolo della marca torna a essere centrale, con l’opportunità di evolvere da porto franco a vera e propria guida. Le aziende che sapranno essere faro culturale, orientando atteggiamenti e scelte di consumo, avranno un vantaggio competitivo di lungo periodo, in quello che sarà il Nuovo Mondo.

Emerge la necessità impellente di ripensare il tema della responsabilità sociale d’impresa, con l’obiettivo primario di focalizzarsi sul vivere localmente, attraverso la creazione di un legame più profondo con la comunità e il territorio di appartenenza. Un rapporto che dovrà basarsi necessariamente sull’ascolto e sul dialogo. Più delle dichiarazioni di intenti, nel prossimo futuro, conteranno le azioni concrete, alimentate da tale rinnovata consapevolezza.

Tutto questo significa che gli investimenti per lo sviluppo tecnologico dovranno essere affiancati da aspetti relazionali. Le aziende che sapranno includere valori come l’empatia all’interno della propria brand essence ne usciranno vincitrici.
Per i brand e per noi professionisti della comunicazione, significa dare un significato nuovo e più ampio al concetto di Purpose: dovrà essere la stella polare per le marche, perché trovino in ogni circostanza il loro ruolo corretto in una società sempre più complessa.

Leggi qui il report completo Techlash or Techlove? Connecting beyond the Crisis: https://www.dentsuaegisnetwork.com/reports/techlash_or_techlove_asa

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