Se non ci fossero i pubblicitari
di Nico Gonzo
Non è il lavoro a definire chi sei.
Per questo nonostante un impiego da copywriter in agenzia continuo a frequentare gli stessi amici di sempre, sulla stessa panchina di sempre, nella stessa piazzetta di Lambrate.
Questo mi porta inevitabilmente a dover difendere la categoria dei pubblicitari nei tanti casi in cui viene impietosamente criticata. E questo capita piuttosto di frequente.
Come in un invisibile tribunale l’arringa parte scaricando la responsabilità sulla pavidità dei clienti, sempre restii a comunicare in maniera diversa e originale i loro amati prodotti.
Subito dopo, a sedersi sul banco degli imputati, è il turno dei prodotti, ormai tutti uguali e senza alcuna rilevanza per chi li compra se non il fatto stesso di averli comprati. Cioè posseduti. Ma questo non basta a riabilitare la nostra reputazione sociale.
La gente continua a vederci come piccoli Umpa Lumpa truffaldini al servizio dei brand, sempre intenti a escogitare modi ingegnosi per farti mettere mano al portafogli. Mai cliché fu più sbagliato: la verità è che noi siamo i vostri paladini.
Se non ci fossimo noi, gli spot televisivi sarebbero tutti come le telepromozioni dei canali satellitari, quelli dal 70 in avanti per intenderci. Le pagine stampa avrebbero loghi così ingombranti da non farci stare nient’altro; i pre-roll che anticipano i video su YouTube durerebbero un minuto e sarebbero un loop di foto aziendali; le operazioni guerrilla sarebbero letteralmente tali: imboscate nelle quali il target non avrebbe scelta, comprare o morire. That’s business, baby.
Non capite che senza di noi Ennio Doris userebbe quel bastone contro i clienti invece che per giocare sulla sabbia? Giovanni Rana non sembrerebbe nonno Felice e Babbo Natale non sarebbe vestito di rosso Coca Cola, ma di un tristissimo verdino?
Lo capite cosa vi stiamo risparmiando?