Google, Privacy e Pubblicità
di Emanuele Nenna
Nei palazzi continua il dibattito sulle modifiche alle regole della privacy del mondo Google, iniziato qualche settimana fa. Si discute della forma, cioè su quanto la nuova normativa sia presentata all’utente in maniera chiara e comprensibile. Poco secondo l’UE, molto secondo Google. Ma soprattutto si discute del contenuto: il diritto dei consumatori a non essere spiati. E questo è il tema più appassionante della vicenda: quando si tracciano i comportamenti on line degli utenti (ma anche quelli off line) si tratta di spionaggio malvagio a fine di lucro per vendere preziosi dati privati agli inserzionisti pubblicitari, o si tratta invece di conoscere le persone per offrire loro un miglior servizio? Una comunicazione pubblicitaria personalizzata può essere un servizio di valore per il consumatore? Sì, può. A volte.
Mi piace tornare spesso nello stesso ristorante perché mi conoscono, quando prenoto mi tengono il mio tavolo preferito – quello vicino al camino -, mi accolgono chiamandomi per nome, quando mi portano un piatto sono certo che non ci sarà nemmeno una goccia del temutissimo aceto. Non devo ripeterlo ogni volta. Non hanno un database informatico, ma hanno molte informazioni su di me. E le usano bene. Lo stesso per il bar sotto casa che mi prepara il caffè marocchino e la spremuta quando mi vede entrare, e me lo porta al tavolino con lo zucchero di canna. Questa non è pubblicità, si può dire. Vero, ma – prendendo le parti della difesa rispetto alle marche spione – io dico che quello è l’intento. Vi sarà capitato di dover cambiare auto. E di comprare riviste su riviste per confrontare, vedere foto, avere informazioni. Se in quel periodo vi fossero arrivate nella cassetta delle lettere delle belle brochure delle vostre case automobilistiche preferite (e magari è successo) non lo avreste apprezzato? Può darsi vi avrebbe risparmiato qualche gita preliminare dai concessionari. Per spedirvi le informazioni pubblicitarie giuste al momento giusto, naturalmente chi vi ha scritto sapeva che auto avevate e da quanto tempo (dati ACI). Ha invaso la vostra privacy. L’ha fatto con obiettivi di marketing, per vendervi un prodotto. Ma nel contempo vi ha dato (potenzialmente) un servizio, senza fare nulla di male. Anche quando trovate sul retro dello scontrino del supermercato un buono sconto sul vostro prodotto preferito (o su una categoria di prodotti che amate), evidentemente non è un caso. Ma può tornare utile. Io non mi sento, personalmente, violato. Giro lo scontrino e mi compro i biscotti Galbusera con 50 centesimi di sconto. E ringrazio.
Certo, come sempre accade, il confine tra buono e cattivo è labile. Chi ha il mio indirizzo e-mail e sa dove sono stato in vacanza può invitarmi l’anno successivo a tornare con lo sconto. E non mi dispiace. Ma può anche passare il mio nominativo a tutto il mondo, che intaserà senza remore né rispetto la mia casella di e-mail. Può provare ad imbrogliarmi. Chi sa quali locali frequento, quali siti web visito, può mettermi in imbarazzo (“come mai l’associazione FAN DI LIALA ti invita al suo convegno commemorativo?”). E poi, tornando a Google, può prendere cantonate. Se in una mia mail ho scritto qualcosa tipo “per la festa di domani, prendi tutti i palloncini e legali sul terrazzo”, mi trovo nella colonna destra della mia pagina di Gmail decine di annunci di studi di avvocati. Perché? Perché “lègali” (i palloncini) o “legàli” (gli studi) in italiano si scrivono nello stesso modo. E per Google, quindi, sono la stessa cosa.
La foto è stata pubblicata in copertina dall’Independent