Fenomenologia di Johnny Depp: da attore a bambolotto a forma di pirata

Sento che è arrivato il momento per il coming out definitivo. Anzi, secondo me l’ho già fatto, ma siccome tra tutte le altre cose soffro anche di Alzheimer me ne sono dimenticata e quindi adesso mi ripeto. Non mi piace Johnny Depp. Di più: lo trovo insopportabile. Ancora di più: quando sento un’amica a caso sospirare per lui ho la stessa reazione che potrei avere di fronte alla notizia che al mondo esiste gente a cui piace mangiare le formiche, votare per Scilipoti, andare a un concerto dei Jonas Brothers. Ovvero: contente voi. Ci sono altre mille cose che non mi piacciono, ma di cui intuisco il fascino che possono esercitare su altri. Vabbè, adesso non mi vengono degli esempi, ma ci sono. Ah ecco: Brad Pitt. Oppure la musica metal. O lanciarsi con il paracadute. Johnny Depp no. Non capisco come si possa trovare attraente, interessante, sexy e – cosa ancora più grave – come si possa considerare un grande attore uno che ormai è il cartone animato di se stesso. Sono quanti? Dieci anni, ormai? Stesso look, stesse frasi ripetute all’infinito, stessi riferimenti (sì, abbiamo capito che da piccolo sognavi di diventare come Keith Richards, ma non lo sei e fossi in te comincerei a farmi qualche domanda), film diversi ogni volta annunciati e venduti come capolavori che alla fine si rivelano delle grosse operazioni commerciali e di intrattenimento quando va bene, delle porcate immonde quando va male. Certo, film brutti capitano nella carriera di ogni attore, per carità, ma nell’insistenza con cui lui sbaglia le scelte c’è qualcosa di doloso se non addirittura patologico. L’attore Johnny Depp ha ormai la bidimensionalità, lo spessore dei personaggi che interpreta: nullo (e infatti Ricky Gervais, che è un genio, lo ha detto meglio di chiunque altro: con una battuta che ha gelato la platea dei Globes). E pensare che c’è stato un prima, un passato fatto di film buoni, di interpretazioni che facevano parlare di lui come dell’erede della generazione dei Brando e dei Newman, di scelte coraggiose con registi come KusturicaJim JarmushTim Burton. A parte che anche lì ci sarebbe da discutere, perché guardando bene erano i film che portavano lui e non lui che portava i film, comunque, dando anche quel passato per buono, ad un certo punto è successo qualcosa. Ad un certo punto Depp si è infilato in testa il cappello, si è messo gli occhiali da sole con le lenti azzurre, si è riempito i polsi di braccialetti, ha cominciato, insomma, a vestire i panni di Jack Sparrow fuori e dentro il set. Nel frattempo si è anche accasato con Vanessa Paradis, si è trasferito in Francia, ha fatto due figli, ha iniziato a concedersi sempre meno. Il risultato è che quello che vediamo adesso non è Johnny Depp, ma una specie di bambolotto che lo rappresenta, la sua action figure. La spiegazione più semplice è che Depp sia stato un bluff dall’inizio. Ci siamo tutti sbagliati, pazienza. Quella forse un pochino più elaborata è che questa trasformazione sia una scelta, il modo che l’uomo Depp ha trovato per sopravvivere in un posto come Hollywood: creando il personaggio del simil pirata e mandando lui ai festival, alle interviste, sui red carpet. Alla fine, qualunque sia la risposta, il suo film migliore rimane Buon compleanno mr Grape. Anno 1993: Johnny Depp ha 30 anni, ma ne dimostra quasi dieci di meno. Interpreta Gilbert Grape, figlio di una donna obesa e con un fratello ritardato di cui si prende cura con tenerezza e amore. È un personaggio bellissimo, lui lo interpreta alla perfezione e la relazione tra i due fratelli è una delle cose più commoventi mai viste al cinema. Il problema è che la parte di Arnie Grape  – il fratello ritardato – la fa un certo Leonardo DiCaprio, all’epoca ventenne e, come Depp, reduce dal grosso successo di una serie televisiva. L’interpretazione di DiCaprio è stupefacente e gli vale – a soli 20 anni – la sua prima candidatura all’Oscar, accompagnata da una valanga di recensioni positive. Robert De Niro, che l’anno prima aveva già voluto e ottenuto DiCaprio nel film Voglia di ricominciare, fa capire di aver trovato il suo erede. È forse in questo momento che Depp capisce che non potrà mai diventare quello che ha sempre sognato di diventare. Forse è qui che decide di diventare altro: un bambolotto bidimensionale, vestito da pirata.

 

Simona Siri

Vive a New York con un marito e un cane. Fa la giornalista e ha scritto due libri: Lamento di una maggiorata (Tea, 2012) e Vogliamo la favola (Tea, 2013). Segue la politica americana, il cinema e le serie tv. Ama molto l'Italia e gli italiani, ma l'ha capito solo quando si è trasferita negli Usa.