Il turismo democratico
Airbnb ha già quattro anni ma il boom in Italia c’è stato nel 2011, con 18 mila annunci per affittare casa, un giro d’affari di 5,2 milioni di euro e una crescita del 900% in un anno. È una piattaforma online nata nel 2008 a San Francisco dall’ingegno di tre studenti che per arrotondare le finanze hanno cominciato a vendere lo spazio casalingo extra ad altri studenti squattrinati già abituati al couchsurfing, un modo di viaggiare senza prenotare alberghi e accontentandosi invece di un divano (couch) o di qualunque altro cantuccio al coperto per la notte.
Più social network che agenzia. Nel caso specifico, Joe Gebbia e i suoi coinquilini Nathan Blecharczyk e Brian Chesky offrivano tre materassi gonfiabili (air-bed) sul pavimento, e la prima colazione (‘n breakfast). Visto che gli ospiti non mancavano, visto che uno di loro era ingegnere informatico, e visto che Internet era già molto usato per scambi di ogni genere, hanno creato una community tra chi ha spazio da vendere e chi lo cerca, sul modello dei social network. Per ogni proprietà proposta, oltre alla descrizione tecnica – dov’è, com’è, quanti posti letto, numero bagni, uso cucina o no, foto, eccetera – si legge anche il profilo del padrone di casa – che lavoro fa, cosa gli piace, che tipo è – e si conosce il potenziale inquilino con una funzione “voice connection” o tramite i suoi contatti su Facebook. Poi ci sono i commenti di chi è già stato in un posto; positivi o negativi che siano (ci fu una storia complicata di disavventure per i proprietari, due anni fa), sono sempre pubblicati con un’unica clausola per evitare false recensioni: chi scrive deve aver pagato il soggiorno (quindi essere stato nell’alloggio) oppure deve essere “connesso” direttamente con il proprietario.
Economia di condivisione dal divano al castello. Oggi airbnb offre ancora un posto sul divano per poco (da 8 €), ma anche una casa sull’albero, un appartamento a Manhattan, un castello in Toscana, un’isola alle Fiji per 270 € a notte, non una cifra spaventosa considerato che può ospitare 10 persone. Attualmente, le proprietà pubblicate sono più di 19 mila in 192 paesi, il 75% delle quali fuori dagli Stati Uniti; ha sedi in vari paesi e dal 2012 anche in Italia, grazie al fatto che il business da noi è cresciuto esponenzialmente: con questo sistema, nel 2011, hanno soggiornato in Italia 160 mila viaggiatori, 11 volte di più rispetto al 2010, e gli utenti italiani hanno prenotato 100 mila notti, sei volte di più dell’anno precedente. Nel 2011, il guadagno medio è stato di 8 mila euro per ogni proprietà milanese e di 10 mila per quelle romane.
Il motivo dei suoi successi è che la piattaforma è democratica e sociale. Sociale perché crea connessioni e reti online e offline in una comunità potenzialmente infinita. Democratica perché è un caso di sharing economy che permette a tutti di offrire senza troppe incombenze burocratiche la propria casa e di ricavarci anche un po’ di denaro per pagarsi spese e bollette, per esempio. La pubblicazione dell’annuncio e il servizio fotografico sull’alloggio sono gratuiti; si paga invece una commissione del 3% a vendita conclusa.
Un turismo democratico. Il modello rende accessibili a tutte le tasche anche località che spesso non lo sono, come Milano, tanto per fare un esempio, dove gli hotel sono pochi e, tranne rare eccezioni, si dividono tra molto molto costosi ed economici ma squallidi. Mancano invece le richiestissime sistemazioni con buon rapporto qualità/prezzo che tanto piacerebbero a turisti e famiglie di turisti, lavoratori a budget medio, designer, stilisti, studenti, tutti con svariate ragioni per trascorrere qualche giorno (possibilmente piacevole) in città, ma senza fortune da spendere. Lo stesso succede a New York, Londra, Tokyo. In questa ampia fascia libera di mercato si sono collocate airbnb e le altre piattaforme simili, tipo wimdu.it e roomorama.it. E gli utenti non rappresentano un target specifico di viaggiatori ma sono eterogenei, da 18 a 80 anni, dal giramondo al direttore dell’Opera di Parigi, dall’uomo d’affari alla coppia in luna di miele. E non sono nemmeno una nicchia, perché fino a oggi sono state prenotate 5 milioni di sistemazioni in tutto il mondo, secondo il principio teoricamente lapalissiano che, a parità di prezzo, una bella casa è meglio di un brutto albergo. Solo che prima di Internet, una bella casa era più difficile da trovare e anche da valutare.