La bufala della Comunicazione Facilitata
La famosa “autobiografia di un autistico” è davvero un’autobiografia?
Sono cresciuto venendo considerato il più strambo del vicinato e i miei personaggi sono strambi quanto me. Sarà per questo che da sempre mi interesso di disagio psichico e sofferenza mentale, e che leggo quanto più possibile sull’argomento. Tra le cose di cui mi sono occupato recentemente, senza alcuna pretesa di completezza, è l’autismo e soprattutto dei ciarlatani che pretendono di avere una spiegazione facile per questa sindrome o una cura miracolosa in tasca. Tra le cure miracolose un posto a sé lo merita la Comunicazione Facilitata, che è stata sperimentata su pazienti che soffrivano di paralisi cerebrale e, appunto, autismo. Ci sono molti modi di praticarla, ma il più diffuso è quello in cui il FACILITATORE (il terapeuta) prende le mani del paziente e le “guida” sulla tastiera, aiutandolo a comporre frasi di senso compiuto.
Incredibilmente, molti pazienti incapaci di parlare o di comunicare con l’esterno, grazie alla Comunicazione Facilitata diventano così in grado di esprimersi, di raccontare la loro sofferenza, di spiegare finalmente quanto amano i genitori. Con la Comunicazione Facilitata vi sono autistici severi che hanno preso diplomi e lauree, e a quanto pare, scritto anche dei libri, come Macchia, autobiografia di un autistico, pubblicato recentemente da Salani e recensito straordinariamente bene. Teresa Ciabatti sulla Lettura ha anche intervistato via mail l’autore, ottenendo risposte toccanti e poetiche.
Però c’è un problema. La Comunicazione Facilitata è un metodo screditato da decenni.
Da quello che ne so, tutti gli esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che non funziona, e che i tassi migliori di riuscita sono al massimo del 30 per cento, e solo su singole parole, mai su frasi di senso compiuto. Non solo, ma sono emerse criticità su chi rispondeva a che cosa. Quando si faceva una domanda a un paziente senza che il facilitatore la sentisse, la risposta era immancabilmente sbagliata; quando il facilitatore non vedeva la tastiera, ma solo il paziente, si ottenevano solo sfilze di lettere senza senso e così via.
La spiegazione data dai sostenitori della Comunicazione Facilitata è che i test effettuati rompevano la normalità della vita del paziente che reagiva male, che erano fonte di stress, che gli osservatori influivano sul risultato, eccetera, ma rimane il fatto che non è mai stata provata la sua efficacia terapeutica. Anzi, da molte parti si dice chiaramente che si tratta di una bufala, che sfrutta il desiderio dei genitori di comunicare con i figli autistici, illudendoli sul risultato.
Ma se è così, allora, chi è che si laurea con la Comunicazione Facilitata? Chi è che scrive Ti voglio bene? Chi racconta la malattia? Il paziente o il facilitatore?
Naturalmente io non sono uno psichiatra. Ma potete guardare qui per esempio o qui o farvi una ricerca in rete. Quanto meno per farvi venire dei dubbi.
Io ne ho molti.
E provo pietà per chi non può difendersi.
Ultima modifica 16 febbraio