L’aritmetica rischiosa del voto pedagogico
Intervengo nella discussione efficacemente avviata da Francesco Costa e Luca Sofri. A entrambi è venuta a noia l’espressione “votare il meno peggio”, ma ahimè di quello si tratta. Ne ho scritto qui qualche settimana fa, e non ripeterò gli stessi argomenti in astratto. Voglio invece rispondere, in concreto, all’osservazione principale di Sofri. Potremmo chiamarlo l’argomento del voto pedagogico.
Sofri dice che tra votare il peggio o il meno peggio c’è una terza via, più nobile e più lungimirante, che è questa: rifiutare il voto al meno peggio per incentivarlo a diventare meglio nel prossimo futuro. Ho già detto qualcosa su questa obiezione. Ma penso che sia il caso di fare l’unica cosa utile quando si discute di questioni importanti. Usare un po’ di aritmetica.
Come scriveva Hume, la sola fatica che la virtù ci richiede è il giusto calcolo. O, per usare parole meno pompose: per capire qual è la cosa migliore da fare è meglio fare un esempio e due conti.
Immaginiamo, per semplificare, che oggi votiamo tra due partiti per avere un governo domani; e tra cinque anni rivotiamo tra gli stessi due partiti (ma possibilmente con candidati e proposte diverse) per avere un nuovo governo. Per essere concreti, diciamo che questi due partiti sono il PD e i Sovranisti. Le cose non stanno così, ovviamente, ma qua stiamo cercando di capire qualcosa su alcuni principi generali. Immaginiamo che il nostro elettore, Tizio, pensa che il PD farebbe meglio dei Sovranisti ma ciononostante è un partito che lascia parecchio a desiderare. Qualcuno gli dice di votare PD, visto che è il meno peggio. Tizio però non pensa solo a domani, ma anche alle prossime elezioni tra cinque anni. Tizio ritiene che punire il PD possa incentivarlo a essere un po’ meglio tra cinque anni. Facciamo un esempio con dei numeri. Fatta 100 la situazione di oggi, Tizio pensa che col PD al governo tra cinque anni saremo a 105. Tizio crede che sia giusto e necessario aspirare a 130, almeno a 120!, e quel 105 gli sembra un compromesso inaccettabile. I Sovranisti, certo, farebbero un gran casino – pensa Tizio. Tra cinque anni, con loro al governo, saremo a 75. Però se il PD capisce che gli elettori vogliono qualcosa di meglio da quel partito, e che non se la può cavare offrendo un misero +5 ma deve lavorare più duramente e più seriamente, allora forse il PD si rimboccherà le maniche, e tra 5 anni candiderà persone migliori e farà proposte migliori, e – se vincerà le elezioni – dopo altri 5 anni ci darà un paese migliore di adesso. Non quel misero 105 che ci attendiamo votando oggi il meno peggio. Ma meglio.
Ora, facciamo qualche conto. Se per attuare questa strategia Tizio si astiene, sta facendo una scommessa. Sta scommettendo che la cosa migliore da fare (o il meno peggio, insomma) sia aumentare le chance di avere i Sovranisti oggi al fine di aumentare le chance di avere un PD migliore e vittorioso tra 5 anni. Quanto deve migliorare il PD perché ne valga la pena? Be’, innanzitutto, il PD dovrebbe essere così bravo da riuscire a prendere il paese a 75 e portarlo a quel 120 che Tizio ritiene accettabile. Oggi quel che il PD sa fare è avanzare timidamente da 100 a 105, tra 5 anni (secondo la strategia di Tizio) dovrà essere in grado di fare il notevole balzo da 75 a 120. Un bel miglioramento. Quaranta punti di miglioramento (da +5 a +45). Ma anche ammettendo che un tale miglioramento sia possibile, quanto è probabile che sarà realizzato? C’è il rischio significativo che il PD non migliori. E che la strategia di Tizio contribuisca ad avere i Sovranisti domani (che ci portano a 75) e il solito PD tra 5 anni (che farà il suo solito, triste +5 e ci porterà a 80). Tra 10 anni avremmo potuto essere a 110 (un +5 domani e un altro +5 al prossimo giro), e ci ritroviamo invece a 80. Peggio, è del tutto plausibile che il PD dica “Caspita, alla gente piacciono davvero questi Sovranisti, forse è il caso di inseguire un po’ le loro idee”. E Tizio avrà i Sovranisti domani (75) e un PD un po’ più sovranista tra 5 anni, che invece di fare +5 farà -5 (70). Avremmo potuto essere a 110 e ci ritroviamo a 70. Oppure il PD migliora, raddoppia persino il bene che riesce a fare al paese, da +5 a +10. Ma anche in questo caso, avremmo potuto essere a 110 e ci ritroviamo solo a 85.
Ma Tizio è più ottimista. Pensa che ci sia qualche chance che il PD migliori davvero di una quarantina di “punti” grazie all’astensione pedagogica. Quanto grande è questa chance? Be’, per pareggiare i conti coi Sovranisti Tizio dovrebbe avere la certezza assoluta che il PD migliori della misura richiesta senza perdere consensi. Ok, avere la certezza è impossibile. Diciamo allora che c’è una chance su quattro che il PD migliori di moltissimo senza perdere consensi – una previsione non proprio pessimistica, anzi. Quanto dev’essere grande l’aspettativa di miglioramento (col 25% di probabilità) perché la strategia di Tizio sia conveniente rispetto a turarsi il naso e votare subito, domani, il PD? Se rinuncio a dei soldi oggi per scommetterli a un gioco in cui ho una possibilità su quattro di vincere domani, quella scommessa, per essere equa (e non un passatempo d’azzardo), deve pagare più di quattro volte i soldi a cui rinuncio oggi. Quindi il PD, tra 5 anni, dovrebbe migliorare l’Italia di centoottanta punti. Non i 5 punti che rifiutiamo oggi, non i venti punti che chiediamo oggi al PD e – non ottenendoli – lasciamo perdere. Ma 180 punti. (Abbiamo detto che il miglioramento provocato dal PD per pareggiare i conti coi Sovranisti e portare l’Italia a 120, infatti, dev’essere +45, che è il 25% di 180).
Chi è arrivato sin qui dirà che questo è tutto un artificio semplicistico, che il mondo reale non funziona così, e via dicendo. L’esempio certamente è artificioso, e semplicistico. Una finzione. E i conti da fare, anche accettando questo scenario stilizzato, sarebbero più complicati. Ma il principio che c’è dietro è reale. Chi rifiuta il partito migliore per spingerlo a migliorarsi ancor di più, quando l’alternativa è molto peggiore, fa una scommessa rischiosissima. Ovviamente ci sono casi in cui questa strategia può valere la pena. L’elettore di centrosinistra a un ballottaggio tra Salvini e Meloni (per usare un esempio di Sofri) non rischia granché perché pensa, a torto o a ragione, che la differenza tra i due non sia grandissima. In quel caso, la scommessa pedagogica di Tizio è molto più plausibile. Ma chi pensa che, il 4 marzo, tra il meno peggio e il vero peggio ci sia una grande differenza – a prescindere dalla qualità del meno peggio in termini assoluti – deve riconoscere che la scommessa di Tizio è un azzardo. Un libero e legittimo azzardo – questa è la fortuna che abbiamo, la libertà e la democrazia – ma forse non la strategia migliore da giocarsi in questa situazione.