Per un 2018 probabilistico
Qualche settimana fa, il democratico Doug Jones ha vinto il seggio da senatore in Alabama. Erano 25 anni che in Alabama non vinceva un senatore del Partito democratico e fino a pochi giorni prima delle elezioni i sondaggi davano avanti Roy Moore, il candidato repubblicano accusato di aver molestato diverse ragazzine. Circa una settimana prima del voto, il mercato delle previsioni Predictit (un sistema in cui si possono comprare e vendere previsioni politiche come se fossero titoli quotati in borsa) dava la vittoria di Jones a 27 centesimi di dollaro. Vuol dire che chi aveva “comprato” la vittoria di Jones ha poi ricevuto 1 dollaro per ogni 27 cent investiti. I prediction market hanno sbagliato?
D’intuito molti di noi risponderebbero di sì. È la stessa cosa che è successa l’anno scorso con le elezioni presidenziali americane. Il giorno del voto, FiveThirtyEight, il sito del giornalista ed esperto di previsioni Nate Silver, stimava le chance di vittoria di Trump a 28.7%. Poche ore dopo, milioni di osservatori attenti, professionisti e dilettanti, si dicevano sconvolti dal risultato. Aveva sbagliato anche Nate Silver, il prodigio della statistica elettorale, quello che aveva azzeccato con incredibile precisione le ultime due elezioni presidenziali?
Se ci pensiamo su, un evento che ha il 27 o 28 per cento di probabilità di succedere non è esattamente un evento irrealizzabile. L’influenza, per esempio, colpisce ogni anno tra il 4% e il 12% degli italiani e nessuno di noi è particolarmente sorpreso se si ritrova a letto a gennaio. Eppure molte volte se qualcuno ci dice che una cosa ha il 27% di probabilità di accadere tendiamo a pensare che non accadrà affatto. Altre volte, invece, se scopriamo che un qualche evento negativo può verificarsi in un piccolissimo numero di casi quell’informazione ci crea una paura sconsiderata. È ciò che succede, ad esempio, a tanta gente che si avventura a leggere il bugiardino delle medicine che gli sono state prescritte.
Insomma, abbiamo un problema con le probabilità. Il motivo è che spesso non sappiamo che farci con quei numeri. Se guardo il meteo è perché voglio sapere se portarmi dietro l’ombrello. E se l’app sul telefonino mi dice che la probabilità di pioggia è del 35% io devo tradurre quel numero in una decisione binaria: piove o non piove. Non ho spazio per le sfumature di grigio. La risposta dev’essere bianco o nero.
In effetti, il presente ha un solo colore. Doug Jones ha vinto, il giorno del mio matrimonio ha piovuto, e l’anno scorso ho preso l’influenza. Ma la nostra conoscenza del mondo è imperfetta e assomiglia più all’application del meteo che ai titoli di giornale del giorno dopo. Pensare in termini probabilistici è un buon modo per prendere atto di quell’imperfezione e affrontare meglio le decisioni che ci tocca prendere. Il 35% di rischio di pioggia può essere tollerabile se a voi, come a me, scoccia portarvi dietro l’ombrello e se avete in ogni caso poca strada da fare a piedi. Ma è più che abbastanza per assicurarvi un Piano B per un ricevimento all’aperto.
Ragionare in termini probabilistici ci aiuta anche a pensare meglio alle nostre idee e alle nostre opinioni. Anche il nostro convincimento più forte non può, razionalmente, avere una probabilità del 100%. In generale siamo portati a considerare quello in cui crediamo in termini di vero o falso. Cioè, arrotondando per eccesso o per difetto qualsiasi probabilità a 0 o a 100. Ma 28% non è affatto zero, come abbiamo visto con Trump. E neppure l’8% dell’influenza lo è. Dovremmo riconoscere che queste diverse gradazioni del rischio si applicano anche alle nostre convinzioni. Ogni nostra idea è una specie di scommessa. Quanto siamo disposti a rischiare per la bontà delle nostre opinioni?
Pensare alle nostre convinzioni in termini probabilistici può sembrare una cosa strampalata, ma è un modo per riconoscere che non abbiamo tutte le informazioni rilevanti o potremmo aver fatto un errore nel trarre le conclusioni. Non è una cosa banale. Provare a quantificare il rischio di essere in errore ci costringe a non affezionarci alle nostre conclusioni e a esaminarle con più attenzione.
Soprattutto, pensare alle nostre convinzioni come a delle probabilità significa essere pronti a rivedere le nostre stime appena riceviamo nuove informazioni. Nuovi dati o nuovi argomenti ci devono costringere a rifare i calcoli e a controllare se alle nostre opinioni serve una revisione. Nuove informazioni possono cambiare il grado di fiducia in ciò in cui crediamo, esattamente come succede con le scommesse. Per una scommessa contro la qualificazione dell’Italia ai Mondiali un bookmaker non avrebbe pagato la stessa cifra due anni fa o l’11 novembre. E forse dopo aver letto quell’articolo o discusso con quella persona, la nostra opinione sulla liberalizzazione dell’erba, sul PD, sulla net neutrality, o su come comportarsi coi parenti ai pranzi di Natale deve passare dal 78 al 51 per cento.
Anch’io nella mia lista di propositi per l’anno nuovo ho alcuni classici, come andare in palestra. Ma se dovessi scegliere un solo proposito da consigliare sarebbe questo: proviamo a pensare di più in termini probabilistici. Un 2018 più probabilistico è un 2018 più razionale, più aperto, più gentile, più curioso, e un pochino più vicino alla verità. Probabilmente.