Spiegazioni poco chiare
Quando si dice che le statistiche possono ingannare, è verissimo. Se ne possono fare, intenzionalmente ma anche (più insidiosamente) per puro caso o ignoranza, di tutti i colori. Detto ciò, utilizzate nel modo giusto, sono utilissime per chiarire e demistificare tante cose e debellare percezioni completamente fuor di luogo. Persino il mondo del baseball, uno sport tradizionalmente associato a mosse calcolate e un certo dinamismo fisico, negli ultimi tre decenni è stato completamente ribaltato dalla collezione e dall’analisi oggettiva di certi dati (vedi questo articolo sui retroscena della recentissima vittoria dei Chicago Cubs; meglio ancora, leggere Moneyball di Michael Lewis).
È per questa ragione che rimango sempre sorpreso quando, di fronte a questioni almeno parzialmente analizzabili con dati facilmente reperibili, mi trovo ad “analizzare” non tanto affermazioni logiche e documentate, ma frasi vaghe e prive di significato. Faccio un esempio.
Una casa di gestione ben conosciuta mi ha inviato una presentazione il cui scopo era quello di illustrare in dettaglio il loro processo di selezione dei fondi da usare nei portafogli dei clienti. Come in tanti altri casi precedenti, invece di trovarmi di fronte ad una chiara spiegazione di cosa utilizzano per le loro analisi (in pratica, dati storici o caratteristiche individuali correlati con specifici eventi nel futuro), mi ritrovo a nuotare in una marea di slide colorate ed espressioni del tipo
> [Utilizziamo] un processo rigoroso e disciplinato per selezionare i fondi comuni e monitorare il loro andamento (appunto: quale processo, e perché?; a parte slide con cerchi, quadrati, triangoli, ovali e frecce direzionali, nulla).
> Selezioniamo sia fondi attivi che passivi per implementare strategie d’investimento con obiettivi e orizzonti temporali differenti (seguendo quali parametri, provenienti da quali fonti?).
> [Nell’attuare le nostre selezioni crediamo in] relazioni di lungo termine costruite sulla fiducia reciproca che porta ad una maggiore trasparenza e collaborazione con i nostri gestori (cioè “crediamo in buone relazioni commerciali”? la fiducia reciproca e la reputazione sono caratteristiche essenziali; come leggere all’entrata di un negozio “non vendiamo roba rubata”).
Poi ci troviamo di fronte anche a strane coincidenze: avendo declamato nella stessa brochure la oramai comunissima pratica dell’open architecture (offrire i fondi migliori, siano essi della casa o della concorrenza) andiamo a vedere la focus list dei fondi scelti nell’ultimo mese e scopriamo che il 40% dei nomi sono della casa. Perbacco, che società!
Mi chiedo il perché di tutto ciò. Sarebbe così semplice metter giù quello che si conosce o si pensa veramente, ma non ci si arriva quasi mai. Una ragione che mi son data è la difficoltà (quasi impossibilità direi) di selezionare fondi “giusti.” (Questi signori credono di premunirsi parzialmente eliminando dalla selezione fondi che non abbiano almeno tre anni di vita; tre anni!) Poi c’è anche la pazienza necessaria per aver successo una volta fatta la selezione (come evidenziato la settimana scorsa qui). Infine, anche questo un elemento mancante in tutta la disquisizione sul processo, c’è sempre la questione dei costi: sono veramente così irrilevanti da non meritare una breve menzione?
Nebbia proprio fitta.