In quarantena ci siamo riscoperti pesci diversi
Non so se ci avete fatto caso ma tra le tante cose che ho notato è successa una cosa strana. Un po’ perché eravamo soli, un po’ perché eravamo in emergenza, un po’ perché nessuno ci “vede”, ma piano piano nei giorni ognuno di noi è tornato nel suo modo più intimo e autentico di stare al mondo.
Ognuno ha reagito, ha sentito, pensato, vissuto, cose molto diverse. Come specie diverse, nella reazione a questa assurda prigionia, ogni persona (privata anche di una certa sovrastruttura sociale) è come tornata al suo inizio, a una specie di condizione animale istintiva, atavica, personale. I propri ritmi più animali, i propri istinti, le proprie paure, i propri desideri. Tutto ridotto all’osso, ognuno di noi l’ha vissuta e ha fatto emergere il tratto dell’animale che è.
C’è chi ha scoperto di essere tipo un polpo. Tutto un po’ solitario. E allora tutto sommato stare chiuso nella caverna non è così male, basta qualcuno (un Glovo) che gli porti da mangiare, e non ci soffre più di tanto (forse soffriva di più a fare gli opening e gli eventi).
C’è chi è tipo un granchio, che pure ama stare solo, nascosto. Però ogni tanto un giro lo deve fare (jogging, passeggiate).
C’è quello un po’ tonno, ama scorazzare in branco, veloce, e fare lunghe distanze, andare a largo, e se lo metti chiuso e fermo si sbatte come in una rete, non ce la può fare, sta male (ne conoscete sicuramente un paio, nella vostra vita… tipo me, eccomi qui).
C’è chi ha reagito tipo pesce palla. Gonfiandosi impaurito a ogni piccola minaccia (sono quelli che urlano per strada quando vedono uno senza mascherina).
Ci sono le murene, che fanno tanto i cattivi, ma poi alla prima onda si rinchiudono per un mese (sono quelli che urlano dai balconi ai passanti, ma sono chiusi in casa con ettolitri di Amuchina).
C’è chi, come un delfino, non ha smesso di muoversi, ballare, saltare e ballare. Con qualunque cosa si muovesse.
Ci sono i matti, quelli che tutto purché la vita, prima di tutto. Come i salmoni, che risalgono la corrente sapendo di morire.
C’è chi è come le sardine, animali collettivi, che se non stanno in branco, con gli altri, in compagnia, si lasciano morire.
O gente tipo la cernia, le basta poco raggio d’azione, giusto qualche metro. Galleggiano in orizzonti piccoli. Potrebbero stare in quei metri tutta la vita.
Insomma chiusi dentro le proprie case, fra mille sensazioni, ognuno di noi ha vissuto la sua indole più sincera. Non c’era da apparire altro da sé, da sembrare un altro pesce, non c’era da adattarsi a un altro contesto, o agli altri, a nessun gruppo sociale economico o culturale, e quindi ci siamo guardati ognuno per il tipo di pesce che è. Tipo senza tanti vestiti addosso, a camuffarci.
Credo che ognuno di noi lo abbia fatto, pensando a sé, e agli altri, alle persone a cui vuole bene, senza particolare giudizio. Non è un momento di giudizi questo, ed è anche stupido se un polpo giudica male un tonno.
Gli scienziati dicono che non siamo come i cani (molte razze) ma che siamo un’unica razza, bianchi e neri, latini e asiatici, alti e bassi: perché scientificamente abbiamo una somiglianza genetica enorme. Eppure in questi giorni una delle cose che è emersa con molta più limpidezza del solito è che siamo meravigliosamente diversi. Pesci diversissimi, in questo mare enorme e bellissimo che è la nostra umanità.
PS. Tutti questi disegni bellissimi sono di Martina Zena.