La lingua sempre nuova di Topolino
Pur essendo essenzialmente una giustapposizione di immagini in sequenza (citando Scott McCloud e il suo Capire il Fumetto), nel fumetto la parola è imprescindibile dall’immagine, e l’effetto di entrambe crea la narrazione. Il fumetto è quindi anche una palestra di innovazione linguistica. I fumetti vivono di gerghi, parole, frasi tutte loro: una loro lingua, insomma, che in quanto tale è un modo di pensare e crea un mondo. Nel caso di Topolino, poi, la lingua del giornale è un’intera filosofia editoriale e narrativa.
Topolino è un esempio perfetto di cultura di massa: vive tra l’ex cosiddetto “basso” (non è necessario ripetere e confutare ulteriormente i luoghi comuni ormai superati sul fumetto come “roba da bambini”: i lettori di Topolino sono adulti E bambini) e l’ex cosiddetto “alto” (i suoi sceneggiatori citano Breaking Bad come I Promessi Sposi, e i suoi disegnatori vivono di influenze artistiche che vanno dal manga di Sciarrone all’art nouveau di Mottura passando per il fumetto franco-belga di Cavazzano).
Soprattutto, Topolino cambia sempre, pur restando lo stesso: come la cultura di massa. Oscillando tra il vecchio e il nuovo, va sempre avanti. Con una lingua che, in ossequio alle idee di cui sopra, deve essere accessibile e chiara a tutti, MA ANCHE concedersi alle innovazioni, alle trasformazioni, ai giochi lessicali, MA ANCHE mantenere uno standard più alto della norma.
Ma come “parla”, Topolino? Lo chiedo al suo direttore, Valentina De Poli, mentre arriva in edicola il numero 3255, il primo del suo restyling, fatto di un font più leggibile (l’EasyReading, creato per facilitare la lettura, in particolare per chi è affetto da dislessia) e di un rinnovato approccio visivo, ancora più contaminato dai codici del fumetto, che resta la parte fondamentale del Topo. Proprio per questo, ho pensato di intervistare Valentina… ma a fumetti: e di far sì che siano i suoi stessi personaggi a farle le domande, nelle mie vignette disegnate dal bravissimo Luca Usai.
VALENTINA DE POLI: Io e la redazione volevamo fare un punto della situazione, guardare avanti e chiederci chi sono i lettori di Topolino del 2018. E cioè i mobile-born (i nati dal 2010 in poi, nativi digitali abituati a fruire di contenuti su tablet, cellulari etc.), ma non solo. Lettori da valorizzare.
DE POLI: Bebe Vio comunica grinta, gioia di vivere e curiosità per il mondo. Siamo onorati di averla in copertina: i VIP “paperizzati” e “topolinizzati”, del resto, sono una nostra tradizione. Ma Bebe Vio è un modello perfetto anche perché è una dei nostri lettori, che sono al centro di questo restyling. Per questo, spesso li trasformiamo in Toporeporter: lettori che diventano giornalisti per un giorno, intervistando VIP o curando articoli insieme alla redazione. Per questo organizziamo i nostri laboratori creativi, in cui gli sceneggiatori, i disegnatori e i redattori di Topolino lavorano nelle scuole di tutta Italia, raccontando come nasce il magazine e creando fumetti in classe, con gli alunni. Un’idea che quest’anno è diventata anche un concorso di ScuolaChannel.
DE POLI: A parte gli scherzi – e gli eccessi di Dinamite Bla – a volte alcuni contenuti che i ragazzi apprezzano (come la recente paperizzazione di Mauro Icardi, diventato recentemente Icarduck) possono far storcere il naso ai lettori più tradizionalisti. Ma qui sta il bello – e l’abilità – di Topolino: trovare un equilibrio tra i vari registri linguistici. La lingua di Topolino è da sempre più colta della lingua del suo periodo, fin da quando Guido Martina creò la prima parodia Disney, L’Inferno di Topolino, per arrivare ad autori come Rodolfo Cimino. Ma le nostre storie hanno sempre vari livelli di fruibilità: per il pubblico del nostro core target (dagli 8 agli 11 anni) e per quello degli adulti.
DE POLI: Grazie alla professionalità dei nostri autori, sceneggiatori, disegnatori e redattori, la lingua di Topolino si adegua al periodo storico e all’attualità, ma senza esagerare. A volte, per i giovani sceneggiatori che si avvicinano al mondo Disney, la cosa più difficile è proprio capire come “parlano” i nostri personaggi: o li congelano in una maniera espressiva che magari ricordano dalle storie del passato, o li contaminano troppo con la lingua del 2018, stridendo con la tradizione Disney. Invece Topolino deve essere sempre nuovo, ma inserito in un mondo ben preciso: quello disneyano.
DE POLI: Io definisco sempre Topolino come un ponte generazionale: un giusto equilibrio tra novità e tradizione, tra tempi, generazioni e mondi apparentemente inconciliabili, anche nel linguaggio. Per questo manteniamo una nostra peculiarità: le famose “parole desuete” nel vocabolario dei bambini. La lingua si deve evolvere, ma sempre restando nello “stile Topolino”. Ma questo è anche e soprattutto un merito degli autori.
DE POLI: I personaggi Disney, con la loro forza comunicativa, arrivano ovunque: la stessa parte più giornalistica di Topolino, i redazionali, viene quindi contaminata sempre di più dai codici del fumetto. Da qui il nostro nuovo font ad alta leggibilità. Crediamo da sempre nella comunicazione a fumetti: un medium che può raccontare TUTTO, fatto di segni grafici subito riconoscibili, con una forza comunicativa che può arrivare a chiunque. Ad esempio, una storia di qualche mese fa, Paperino e i ponti di Quackenberg viene utilizzata nelle università per parlare di matematica ad alti livelli.
DE POLI: Vorrei che i lettori del nostro core target, ma non solo, scoprissero grazie a Topolino qualcosa di loro stessi che non conoscono ancora: un’aspirazione, una passione, un’idea. Il mio sogno, come direttore, è che tra dieci, venti, trent’anni, un lettore adulto venga a dirmi che ha scoperto qualcosa di sé grazie a Topolino.
DE POLI: Il momento Paperinik è il giovedì, quando… metto gli stivaletti a molla come lui e faccio le scale della redazione di corsa, per leggere la copia-staffetta: sono la prima a voler leggere il Topo! Il momento DoubleDuck, quello da super agente segreto, è quando lavoro con la mia redazione e i miei autori, tutti “agenti speciali” in missione per me… e per Topolino! Il momento Paperino, quello un po’ pasticcione, è quando scrivo il mio editoriale… che è sempre in ritardo di due giorni!
(Tutte le immagini e i personaggi: © Disney)
(Foto e collaborazione di Michela Cantarella)