Bianco, rosso e basta

A me piace moltissimo andare al cinema (e fin qui). Non solo: a me piace moltissimo tutto quello che c’è INTORNO al cinema. Mi piacciono i muri di caramelle dei multiplex e gli sparuti espositori di mentos dei cinema di provincia. Mi piacciono i sedili morbidosi dei cinema del centro e quelli di legno dei cinema all’aperto. Mi sciroppo con gioia i trailer, i teaser e i teaser dei teaser, leggendo durante gli spot di qualsiasi altra cosa i magazine gratuiti presi all’entrata. Mi piacciono i cartonati piccoli dove puoi infilare la testa e quelli smisurati che trovi solo tra una sala e l’altra. All’università mi sono preso un cartonato di Arma Letale 4 in un negozio di videocassette (Vecchio nostalgico! Vecchio nostalgico!) e l’ho tenuto con me per anni.

Quindi amo ferocemente le locandine dei film. Non devo stare a spiegarvi quanto siano meravigliose certe locandine. Non solo quelle classiche (ormai carne da poster a tre euro uguali a Milano come a Parigi), quelle in bianco e nero con Chaplin o quelle generazional-fighette da Trainspotting a Scarface. Parliamo invece delle locandine dei film che escono oggi, ora. A me piace studiarle. Leggo i nomi degli autori e degli sceneggiatori (deformazione professionale). Guardo i colori e i font. Insomma, ci tengo.

trainspotting

E quando vedo quelle di un sacco di film italiani, mi arrabbio.

Com’è che sono tutte molto simili, per non dire tutte uguali? Lo sfondo è sempre bianco. I personaggi sono quasi sempre a figura intera. I font sono sempre rossi, grossi e squadrati. E sono invariabilmente commedie. Sfondo bianco, personaggi, font rosso = commedia.

Attenzione: non stiamo parlando del valore dei singoli film. Non è un attacco a questo o quel regista, attore, produttore o distributore. È una questione di marketing dei film italiani mainstream. Una questione fondamentale. Immagino che tutti questi film non siano tutti uguali, no? E allora, perché li promuoviamo tutti allo stesso modo?

Una locandina non è solo l’etichetta di un prodotto. Dovrebbe darci una qualche idea della sua identità. Nessun produttore di tonno disegnerebbe tutte le sue scatolette allo stesso modo. Peggio: nessuno le disegnerebbe uguali a quelle degli altri concorrenti. Un prodotto non è più solo un prodotto, da Séguéla in poi. Si vende un’idea di vita. Una filosofia, addirittura (vedi Apple). Una concezione della vita. La marca è un divo che incarna un sistema di valori immateriali, un sogno ben articolato. E nessuno si sognerebbe di vendere De Niro e Van Damme allo stesso modo (che poi, Van Damme sta lentamente diventando cool). I film sono per definizione sogni, che si tratti di un piccolo film finlandese o di una commedia mainstream italiana. E allora perché nel secondo caso li smerciamo tutti allo stesso modo?

Le locandine possono essere arte. Anzi, sono arte. Pensiamo a quelle polacche o a quelle create da designer e fumettisti, da Olly Moss a Chris Ware per La Famiglia Savage o Dan Clowes per Art School Confidential.

savage

Certo, stiamo parlando di film diversi con target diversi. Ma anche il pubblico che vuole una commedia italiana magari vuole qualcosa di più. Gli americani, quello sforzo extra di comunicazione, lo stanno facendo. L’hanno sempre fatto.

Art School

La grafica, il segno, i colori sono l’identità del film. Un font DICE qualcosa sul film. Uno spazio, una stanghetta, un tono cromatico DICONO più di un titolo, a volte. È vero: anche gli americani sono colpevoli del bianco-rosso-e basta. Pensiamo al probabile capostipite del genere, Love Actually. Ma in quel caso c’era una ricerca sui colori e sui font, come dimostrano le varie prove di locandina pubblicate con la sceneggiatura del film.

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Guardando i video dei miei allievi, nelle scuole in cui insegno, noto spesso un’attenzione ai colori, ai font, al reparto grafico dei film (e stiamo parlando di piccoli corti a bassissimo budget) molto superiore a quella di un film italiano medio. Argomento trombone, direte voi: «Persino i ragazzini lo sanno fare meglio». Sarà un luogo comune, ma è vero. Ed è un peccato. Perché quei film impacchettati tutti allo stesso modo magari le hanno, delle differenze. Differenze valorizzabili per il fine ultimo dei film: trovare mercati diversi. Acchiappare anche gli spettatori più distratti, che decidono cosa vedere all’ultimo momento. Insomma: fare soldi.

Perché non pensare a un Gipi, uno Zerocalcare, un Turconi, uno Sciarrone, un Dell’Otto all’opera su una locandina di un film italiano? Una commedia, ma non solo. Magari non come locandina unica ed esclusiva: accompagniamola pure a un bianco-e-rosso. Il tutto rispettando i punti di forza del film, e cioè il cast e gli autori.Non c’è bisogno di Drew Struzan, anche se sarebbe fantastico. Basta pensare che un film non si vende da solo. Che può e deve avere una sua identità grafica. Che questa identità è importantissima, per venderlo bene e venderlo di più. Che lo si può trattare meglio di una scatoletta di tonno. Con tutto il rispetto per le scatolette di tonno.

Roberto Gagnor

Roberto Gagnor (Torino, 1977) scrive fumetti per Topolino dal 2003. È sceneggiatore e autore televisivo e radiofonico. Ha vinto il concorso Talenti in Corto con il suo ultimo cortometraggio, Il Numero di Sharon. Insegna sceneggiatura all’ICMA di Busto Arsizio e all'Accademia 09 di Milano.