Per far la carta ci vuole il legno
La carta geografica, la mappa, intesa come strumento della disciplina cartografica, è oggetto della più o meno consapevole e sicuramente irresistibile fascinazione da parte dell’Uomo di tutte le epoche e di (quasi) tutte le culture. Ed è anche uno degli oggetti la cui definizione è allo stesso tempo estremamente semplice e universale quanto ampia e inclusiva. In Italia la si chiama spesso “cartina”, un diminutivo che oltre a far innervosire i geografi evoca la mancanza di una vera tradizione cartografica contemporanea. Lo si vede nelle edicole, negli insegnamenti universitari, o lo si sente se si è fatta un’esperienza di studio o lavoro in altri Paesi europei come la Francia o la Gran Bretagna in cui la carta ha un ruolo notevole in quello che oggi viene chiamato information design.
Cos’è allora una mappa, una carta? Per quanto mi riguarda è “un formidabile dispositivo ontologico”1. Produce significato, inventa la realtà anziché semplicemente rappresentarla, e quindi si presta a quella sostituzione tra oggetto e soggetto che manda in confusione la modernità. Prima vittima illustre: Cristoforo Colombo, che nega l’evidenza perché una delle carte migliori dell’epoca diceva il contrario di quello che i suoi occhi videro. Semplificando di moltissimo le cose, la mappa è quell’artefatto di natura umana e a vocazione divina (alla quale cioè crediamo incondizionatamente e a volte contro l’evidenza empirica) che ci dice cosa esiste e cosa non esiste. Nel gergo anglosassone l’espressione “you are not on the map” rivela quanto potente sia l’ontologia cartografica: per esistere nella realtà un oggetto deve prima esistere sulla carta geografica. Seguendo il ragionamento inverso, cosa c’è di più facile allora se non cambiare la carta per cambiare la realtà? Ce lo ha dimostrato Donald Trump qualche giorno fa improvvisandosi cartografo, pennarello alla mano, e cambiando la rotta dell’uragano Dorian.
La carta è un arte-fatto, un dispositivo la cui realizzazione per secoli è stata legata alla produzione artistica (da qui uno dei vari aspetti della fascinazione che esercita) e tantissimi sono gli esempi di carte realizzate da personaggi passati alla storia come artisti piuttosto che come cartografi (con l’eccezione di Leonardo, al quale l’etichetta di artista va sicuramente molto stretta attorno al polso del suo genio). Similmente a un dipinto la mappa è fatta di elementi retorici visuali che anche se utilizzati con modalità e tecniche differenti sono gli stessi utilizzati dal pittore, dall’illustratore o in tempi più recenti dal grafico.
Una mappa è fatta di punti e di linee, di superfici nello spazio (ne dovrebbe sapere qualcosa Kandinsky) e di forme, di colore e di texture, di contrasto e saturazione, di luce e prospettiva. E di nomi, a indicare simboli e convenzioni. Allo stesso modo di un’illustrazione la mappa esprime un’intenzione – se vogliamo politica – un messaggio implicito e uno esplicito. Il primo è dovuto al fatto che la mappa è creazione umana, quindi per natura soggettiva: il cartografo opera una selezione delle informazioni da rappresentare e taglia la realtà a suo piacimento, procedendo per sottrazione cosi come fa lo scultore che parte da un blocco di legno massiccio. Il secondo è dato dal contenuto mostrato dalla mappa (soprattutto dalle mappe tematiche contemporanee) in cui la base cartografica, il planisfero o qualsiasi altra forma terrestre, serve da palcoscenico per l’informazione che si mette in scena, per la narrazione che ci si costruisce sopra. Se i punti in comune tra cartografia e illustrazione sono molti, una distinzione spicca tra tutte: la carta ha bisogno di un’informazione precostituita. Sia questa quantitativa o qualitativa, geo-referenziata (relative a un sistema di coordinate) oppure no, la mappa mostra un’informazione acquisita a priori; l’informazione è contemporaneamente inizio e fine (nel senso di obiettivo) di una rappresentazione cartografica.
Tra informazione e aspetto estetico della mappa esiste una relazione diretta e indivisibile suggellata dal cartografo. Il segno scelto per la rappresentazione di un certo tipo di dato, il colore, lo spessore della linea o la sua visibilità rispetto al suo intorno determina l’informazione stessa, l’efficacia della comunicazione, il suo aspetto cognitivo, le intenzioni e le implicazioni politiche. Partendo dalle stesse informazioni due cartografi diversi produrranno due mappe diverse a seconda del loro trascorso, delle loro opinioni personali, dei limiti imposti dal loro editore, della cultura in cui operano, del peso che l’argomento che stanno affrontando ha nella loro scala di valori personale e cosi via. Ognuno di questi aspetti impone una scelta, una selezione, una presa di posizione più o meno parziale e consapevole. Obbliga cioè il cartografo a scolpire legno per ricavare carta. Attrezzi alla mano (quelli del pittore, dello scultore, dell’illustratore, del critico, del giornalista…) la carta prende forma e si rivela uno straordinario mezzo di comunicazione che racchiude in se una quantità “selezionata” e compressa di informazioni messe insieme per raccontare un determinato evento. In una singola pagina (stampata o su schermo) la mappa può racchiudere decine di resoconti, centinaia di tabelle, un rapporto tecnico di parecchie pagine sul cambiamento climatico o il resoconto di viaggio di trenta migranti che hanno attraversato il Sahara e la Libia per arrivare in Europa, e lo fa consapevole del fatto che per mostrare quelle informazioni, per raccontare quella storia li, è probabilmente il mezzo più adatto.
Poi certo, si regge quasi tutto sull’accuratezza dell’informazione, la correttezza del metodo e la buonafede del cartografo. Come per ogni altro prodotto d’informazione.
1Farinelli, F., Geografia, Einaudi 2003
L’Atlante Geopolitico dell’Acqua, di cui sono co-autore insieme a Emanuele Bompan, Federica Fragapane e Marirosa Iannelli, è stato appena pubblicato dalla casa editrice Hoepli