Perché con la Serracchiani facciamo Go On Italia!
Era qualche anno che non tornavo nell’Auditorium romano di Confindustria a Viale dell’Astronomia. L’ultima volta era stata per la Giornata Nazionale dell’Innovazione: mi avevano chiesto di fare il moderatore e ricordo che dopo sette ore la smisi di essere moderato e feci presente che era assurdo parlare di innovazione in una sala senza wifi, senza prese elettriche per caricare laptop e telefonini e parlando solo di “tavoli” da lanciare, manco fossimo falegnami. Ci sono tornato lunedì mattina per il II Italian Digital Agenda Forum. Una occasione solenne per far il punto su quanto siamo digitali. Paradossale farlo in una sala ancora, ottusamente, senza il wifi, gremita di uomini ingrisagliati (nota di colore: Luca De Biase, Andrea Rangone e il sottoscritto avevano però le scarpe da running…), generalmente piuttosto attempati (mi ci metto anche io) e molto analogici (questo no).
Mandare un tweet era impossibile per mancanza di rete e quindi li ho scritti e li ho inviati tutti nel pomeriggio da casa, in differita. Può sembrare un non-senso eppure l’incontro era stato davvero utile e ricco di contenuti positivi e negativi. In negativo per esempio abbiamo appreso che dei ventuno decreti attuativi della Agenda Digitale, un anno dopo il varo, ne sono stati approvati solo otto (ma un paio arriveranno entro l’anno “con immensa fatica” ha promesso Francesco Caio, mister Agenda Digitale). L’Agenzia Digitale, affidata non senza polemiche ad Agostino Ragosa sempre un anno fa, è ancora senza statuto e quindi “impantanata” ha ammesso Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale, ma Caio ha aggiunto di sperare “vivissamente” di averlo entro l’anno. Ragosa era assente, a New York per una felice ricorrenza famigliare pare, ma l’impressione è che dopo qualche contrasto lui e Caio abbiano trovato il modo di collaborare: Caio, che ha ormai un piglio da politico, guida il processo; Ragosa, che ha lunga esperienza di macchina, esegue. Se funziona, siamo a cavallo. Complessivamente nei discorsi ho avvertito uno spirito nuovo, una maggiore consapevolezza dell’importanza del “New Deal Digitale”, come lo ha chiamato il numero uno di HP Stefano Venturi con una espressione che mi è molto cara. Caio per esempio, che ha ricevuto l’endorsement pubblico del commissario europeo Neeelie Kroes (“Francesco is the top”, manco parlasse del papa ha commentato qualcuno in sala), ha spiegato bene che la digitalizzazione della PA è l’unica forma di spending review “perché non è più etico gestire i soldi pubblici con le scartoffie”. Applausi convinti da tutti mentre prendevano appunti su carta. E Parisi ha mostrato di aver capito bene il ruolo dell’innovazione nella crescita economica quando ha detto “nel mercato del lavoro nulla sarà come prima, ma tutti avranno nuove opportunità” (mentre la Kroes ha ripetuto la nota statistica per la quale ogni due posti di lavoro perduti, Internet ne crea cinque). In prima fila il ministro del Lavoro Enrico Giovannini annuiva: un bel segnale che il ministro sia venuto pur non dovendo intervenire dal palco, in certi casi è meglio ascoltare e imparare.
In questo clima, diciamo così, rinnovato campeggiavano le cifre del nostro mostruoso ritardo. Per evitare fraintendimenti il presidente di Confindustria Digitale Stefano Parisi sul palco aveva fatto montare un grande pannello con la distanza italiana dagli obiettivi europei. Ne cito alcuni saltando quello del 2013 – copertura banda larga in tutto il territorio – perché di fatto lo abbiamo già raggiunto (siamo al 96%), ma va detto che oggi con 2 Mb/s si naviga davvero poco e male (e per quanto attiene all’obiettivo di avere una copertura totale in banda ultralarga a 30 Mb/s entro il 2020, a fronte di una media EU al 54 per cento delle case raggiunte dal servizio, noi siamo al 14: qui lo spread con la Germania è di 52 punti! Come sarebbe bello che i giornali parlassero anche di questo ma visto lo spazio che il Forum ha avuto oggi sui quotidiani cartacei ho perso le speranze).
E quindi vediamo a che punto siamo per gli obiettivi da raggiungere entro il 2015.
- il 50 per cento degli europei che fanno acquisti online: la media EU è già al 45%, in Italia siamo al 17.
- il 50 per cento dei cittadini che usano servizi di e-gov: in Italia siamo al 19 con media EU 44.
- il 25 per cento dei cittadini che interagiscono con la PA compilando moduli online: in Italia siamo all’8 con media EU 22.
- il 33 per cento delle imprese che vendono online: solo sei paesi sono sopra il 20 per cento, in Italia siamo al 4 per cento.
- Il 75 per cento dei cittadini utente regolari di Internet (almeno una volta a settimana): media EU 70, in Italia appena 53 per cento. A questo dato vanno aggiunti gli analfabeti digitali, ovvero coloro che non hanno mai usato Internet, che in Italia sono il 38 per cento (media EU 22).
Questi dati non sono affatto una novità per chi segue questi temi e sono alla base del progetto che è stato presentato proprio lunedì all’auditorium di Confindustria dal presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani. Si chiama Go On Italia!, è fortemente ispirato da un analogo programma lanciato in UK qualche tempo fa per far diventare il Regno Unito il primo paese europeo per “digital skills”, per competenze digitali. Volendolo spiegare in una frase (e la Serracchiani è stata bravissima a dire tutto in meno di 4 minuti, si vede che la scuola del Parlamento UE è servita), si tratta di impostare l’Agenda Digitale sulle persone e non sulle infrastrutture. Perché il ritardo sulla banda ultralarga c’è, ed è grande, ma non è per questo che così poche aziende italiane vendono online per fare un esempio; o che così tanti italiani non hanno mai usato Internet. C’è un gap di formazione colossale e se non partiamo da lì non ce la faremo mai.
Il progetto Go On Italia è stato ideato da Wikitalia. Come alcuni sanno, Wikitalia è l’assocazione che con alcuni amici abbiamo fondato il 31 gennaio 2012 per aiutare gli amministratori pubblici a usare la rete e rendere più aperta, collaborativa ed efficace l’azione di governo. Siamo civic hackers, oppure potete definirci appassionati di open gov che non è una brutta parola ma una strategia politica perseguita ormai da decine di paesi nel mondo. Con Wikitalia abbiamo portato a casa alcuni risultati molto rilevanti senza usare un solo euro di denaro pubblico ma solo donazioni: per esempio in seguito ad un protocollo con il Comune di Firenze, abbiamo collaborato alla realizzazione del portale open data cittadino, al varo dei siti openbilanci e openfatture (tutte le spese pubbliche sono immediatamente online) e ad alcune app di partecipazione; ma il risultato più rilevante è forse Openricostruzione, una piattaforma donata alla regione Emilia Romagna dopo il terremoto per mettere in rete tutte le donazioni e tutti i progetti di ricostruzione post sisma (inoltre da mesi con i volontari di Action Aid ogni passaggio viene documentato e raccontato con reportage dal campo).
Ora Wikitalia sta entrando in una fase più matura. Abbiamo ottenuto il riconoscimento della prefettura di Roma, vinto una gara europea per un progetto di ricerca importante e siamo impegnati su vari fronti locali (fra i tanti, un progetto nella città di Matera).
Go On Italia è però un cambio di scala. Un radicale cambio di scala. Pensiamo che per vincere questa partita, la partita del digitale in Italia, ci sia bisogno di uno scatto di generosità per fare una grande alleanza. Pensiamo che nella nuova frontiera dobbiamo arrivarci tutti perché il futuro digitale deve essere il futuro di tutti, un futuro per tutti. O non sarà un futuro. Nel senso che questo paese non ce la farà. Per entrare nel merito del progetto, proverò a fare tre esempi di obiettivi.
1) Pensiamo che sia necessario avvicinare gli studenti al digitale, al coding e alla cultura dei FabLab, Arduino in testa.
2) Pensiamo che sia necessario abbracciare in questa rivoluzione gli over 54 che sono coloro oggi generalmente esclusi dal web e non ha alcun senso in un paese dove gli over 54 sono la metà della popolazione attiva: non possiamo rottamarli tutti, anzi non dovremmo rottamare nessuno ma dovremmo aiutarli ad avere un futuro, unendo la loro esperienza con delle competenze digitali che non sono difficili da acquisire.
3) E pensiamo infine che le startup sono benedette, certo, perché sono un motore di innovazione dal basso, ma se la nostra economia ripartirà davvero, potrà farlo soltanto digitalizzando circa quattromilioni di piccole e medie imprese che sono la fucina del nostro made in Italy ma che rischiano di essere spazzate via dalla crisi senza il web. Perché solo con il web possono acquisire una dimensione internazionale e conquistare nuovi mercati. Sgombriamo il campo da un equivoco: non si tratta di vendere un sito, un altro inutile sito web a chi già l’ha comprato. Si tratta di portare il web nel cuore e nella testa dei piccoli imprenditori. Si tratta di affiancar loro un ragazzo, un nerd, o comunque uno specialista, che in tre mesi possa far partire l’ecommerce, spiegare cos’è il SEO per farsi trovare da un motore di ricerca, raccontare il bello dei social. E dopo tre mesi invece di una impresa prossima al fallimento, forse avremo una impresa che può ancora giocarsi il futuro.
Digital skills. È questo l’obiettivo. Per raggiungerlo crediamo che sia necessario un grande sforzo collettivo. Non possiamo e non dobbiamo presentarci con il cappello di una azienda come se dovessimo vendere, qui e adesso, un pacchetto di software, una soluzione cloud, un applicativo. Non è il momento di vendere ma di dare. E tanti stakeholder del mondo digitale lo hanno capito. Il marketing deve fare un passo indietro se vogliamo davvero essere accolti in un momento di crisi durissima come quello che stiamo vivendo e avere successo in una partita che ci riguarda tutti.
Questa cosa l’abbiamo raccontata fra gli altri al presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e siamo felici che l’abbia sposata subito. E quindi partiremo da lì e se lì funzionerà allargheremo il progetto al resto del paese. Nel suo discorso in Confindustria la Serracchiani è stata bravissima nello spiegare cosa occorre fare adesso. Due cose. La prima: coinvolgere il territorio perché questo non è un progetto calato dall’alto ma anzi deve avere come motore le migliori energie locali. La seconda: coinvolgere degli sponsor, perché chi andrà a fare formazione andrà retribuito, magari in parte con crediti formativi, ma questa deve poter essere una occasione di primo impiego per tanti ragazzi.
Subito dopo l’annuncio di Go On Italia, che per ora sarà Go On FVG, ha parlato di nuovo Stefano Parisi che ha promesso l’appoggio di Confindustria Digitale. E poi persino il premier Enrico Letta ha aggiunto che l’approccio di una Agenda Digitale delle persone è quello che il governo ha in mente. Una bella partenza, che ci ha fatto piacere, ma adesso serve concretezza: servono adesioni.
È un progetto ambizioso. Alcuni diranno troppo. Io credo di no. Credo che si tratti piuttosto di un progetto complesso, che richiede il contributo di tutti per avere successo. Oppure non si farà, lo abbiamo messo in conto. Ma credo invece anche che Go On Italia abbia una ambizione in fondo semplice da spiegare: dare un futuro vero all’Italia. Un futuro di tutti, un futuro per tutti. Senza il digitale nel cuore e nella mente non è possibile.