La famosa cultura del fallimento che non c’è
Leggo un accanimento nient’affatto terapeutico contro Massimo Marchiori che oggi ha annunciato di aver lasciato la guida del progetto Volunia. L’altro Google. Il futuro dei motori di ricerca, secondo le esagerate definizioni usate per il lancio sbagliato di un progetto evidentemente sbagliato.
Startupper che stimo come Massimo Ciociola o Stefano Bernardi sono addirittura indignati. Mi scrivono che Marchiori con il suo comportamento avrebbe offeso tutti gli startupper. E poi che non si abbandona la nave lasciando l’equipaggio. Circola un fotomontaggio dove Marchiori è immortalato come un nuovo Schettino davanti alla Concordia che affonda. Calma, stiamo calmi. E cerchiamo di capire di che e soprattutto di chi stiamo parlando. Massimo Marchiori non è uno startupper, ma un matematico e un ricercatore universitario. Il suo scopo non è mai stato fare i soldi ma fare delle cose utili per gli altri (a volte queste cose coincidono, a volte fare il bene è un di cui del fare i soldi, molte altre volte invece no). Non voleva fare i soldi quando immaginò l’algoritmo alla base di Google e lo passò ingenuamente ma anche generosamente a uno dei due ragazzi che avrebbe poi fondato Google. Non voleva fare soldi quando ha rifiutato offerte stratosferiche per andare a lavorare all’estero, anche per Google, per restare ad insegnare matematica in una università italiana. E non voleva fare soldi quando ha provato a fare Volunia. Cosa voleva fare? Fare una cosa utile al resto del mondo, rendere l’esperienza della navigazione del web più ricca e utile appunto. Nella vicenda Volunia Marchiori si è assunto tante colpe non sue, come si evince dalla lettera, ma ha fatto anche alcuni errori madornali per uno startupper: a partire dalla scelta del finanziatore e dei patti che hanno regolato il loro accordo (praticamente Massimo non decideva nulla e poteva essere accontonato in ogni momento come si è visto). Ma ripeto: Massimo non era e non diventerà mai uno startupper, non ha il sacro fuoco che hanno dentro Ciociola, Bernardi e tanti altri che ci stanno provando a fare una impresa. Ma i soldi non sono l’unico criterio per giudicare una persona, anzi. Massimo è un signor ricercatore stimato in tutto il mondo, è un docente che si dedica anima e corpo ai suoi studenti ed è una persona profondamente perbene. Non ce ne sono tanti altri come lui. Ma il motivo per cui scrivo queste righe non è per difendere lui, ma per difendere gli startupper e gli aspiranti tali. Li vorrei difendere da un errore molto italiano che è la lapidazione di chi sbaglia e fallisce. In questi anni in cui ho partecipato forse a centinaia di eventi di innovazione ogni volta ci diciamo la solita cosa, ovvero che uno dei segreti della Silicon Valley è la cultura del fallimento, il premiare chi ci prova e sbaglia e riparte, rispetto a chi non fa nulla. Mentre da noi chi sbaglia è perduto. Appunto. Massimo ha provato e ha sbagliato. Non ha rubato. Non ha ingannato nessuno. Ha provato a fare una cosa utile per tutti e ha sbagliato. Per questo io, caro Stefano, caro Max, anche oggi sono con lui. E gli auguro di volerci provare ancora.