Domanda: a un comune conviene spendere 500k per avere il dominio internet “.città”?
Uno spettro si aggira per i comuni italiani: i nuovi domini territoriali. Parliamo di Internet, naturalmente. Punto Roma, punto Firenze, punto Venezia. Punto qualunque città. Prenderli o non prenderli? Investire molti soldi rischiando di fare una mossa precipitosa o stare alla finestra ad aspettare rischiando però di passare per nemici del nuovo e magari perdere una buona opportunità? Visto che c’è un bando in corsa, il tempo stringe e una decisione va presa adesso, nelle prossima settimane. Ed è una decisione che ci riguarda tutti: primo perché si tratta di spendere non pochi soldi pubblici; secondo perché quei domini riguardano potenziali nuovi servizi online per i cittadini e i turisti. Ci riguardano molto, questi domini, quindi. Ma scegliere una strategia chiara sembra difficile, la materia è oscura ai più.
Per cercare di capirne qualcosa mercoledì 18 gennaio i rappresentanti di tutti i comuni si sono incontrati a Roma presso la sede dell’Anci con un esponente del Centro Nazionale per le Ricerche Domenico Laforenza, uno dei grandi esperti italiani di rete (inoltre presso il CNR di Pisa c’è la Registration Authority dei domini). Che fare dunque? La storia che i direttori generali dei comuni si sono sentiti raccontare, negli appunti di uno dei partecipanti alla riunione, vale la pena di essere ascoltata perché spiega come funziona davvero quella cosa che due miliardi di persone usano ogni giorni che si chiama Internet.
Dunque, “Internet è un ecosistema complesso. Gli oggetti in rete (che siano computer, telefonini, tablet, televisori eccetera), sono individuabili attraverso protocolli standard di comunicazione. Il termine esatto è anzi “indirizzabili” perché ogni dispositivo ha, appunto, un “indirizzo IP” fatto da 4 gruppi di tre cifre ciascuno che lo distingue da tutti gli altri: lo rende unico. Gli indirizzi IP, nel mondo, sono oggi circa 4 miliardi”.
“L’idea di associare a ciascun IP un indirizzo fu dello scienziato americano Paul Mockapetris, che nel 1983 inventò il DNS, ovvero il Domain Name System. Si tratta di una struttura fatta di livelli organizzati gerarchicamente, primo, secondo, e così via. Quando digitiamo una URL nella barra degli indirizzi del nostro pc, si scatena un meccanismo pazzesco di richieste da un server all’altro che, alla fine, localizza quello giusto”.
“Nel 1998 per governare il mondo dei domini garantendo la stabilità della rete venne creato l’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), un ente no profit di diritto americano. L’ICANN ha l’incarico di assegnare gli indirizzi IP ed ha inoltre l’incarico di identificatore di protocollo e di gestione del sistema dei nomi a dominio di primo livello (Top-Level Domain) generico (gTLD), del codice internazionale (ccTLD) e dei sistemi di root server”. (Se questo passaggio vi appare difficile, andate avanti, si capirà meglio dopo).
“I domini nel tempo non solo sono cresciuti: si sono allargati. Al punto com, si sono aggiunto i punto gov, i punto edu, i punto biz, i punto travel, oltre naturalmente ai domini nazionali come il punto it. Fino allo scorso anno quando, per indicare i siti porno, sono stati introdotti i punto.xxx”. Proprio quest’ultima è stata considerata una operazione maldestra di ICANN perché i domini xxx, invece di essere acquistati dai siti porno (che evidentemente non vogliono essere caratterizzati e chiusi in un recinto), sono stati acquistati da tutti gli altri utilizzatori della rete ma in chiave difensiva, in testa le università: per evitare insomma che altri li acquistassero al loro posto, associando il loro brand a qualcosa di pornografico.
“Oggi esistono 22 domini primo “livello generici” gTLD e 250 geografici “ccTLD”. Alla convention ICANN di Singapore del 2009 è stata decisa l’apertura ai domini liberi di primo livello. Significativa l’apertura alle diverse lingue, anche con caratteri diversi dai nostri. Chi vuole un gTLD “libero” deve dunque chiedere a ICANN. Chi applica deve dimostrare oggettivamente la propria competenza, garantire l’infrastruttura di registro e la sua gestione oppure delegare in outsourcing”.
E siamo al punto che interessa i comuni italiani. ICANN ha pubblicizzato il bando nel giugno 2011 e la finestra per fare la domanda è dal 12 gennaio al 12 aprile. Adesso, insomma. Il prossimo giro sarà nel 2014 o 2015. A novembre escono le prime considerazioni. I domini dovrebbero essere disponibili nel 2013. Dovrebbero, forse, pare.
E quindi, vale la pena farlo? Vediamo i costi, secondo il calcolo di un grande comune italiano. Il manuale per la compilazione è di oltre 300 pagine. La registrazione sul sito costa 5000 dollari, cui segue il versamento di ulteriori 180.000 dollari per sottomettere la domanda.
L’iter è registrarsi sul sito; pagare 5000 dollari; compilare un questionario, con aspetti organizzativi, gestione tecnica, infrastruttura operativa (molto complesso e articolato) pagando altri 180.000 dollari; accludere una lettera del governo di consenso alla registrazione se il dominio è geografico. Per fare tutto ciò le amministrazioni, vista la complessità del questionario, dovrebbero comunque attivare forme di consulenza a prezzi non propriamente popolari (le agenzie specializzate sono già in giro con i preventivi pronti, prevedono una prima tranche di 30 mila euro solo per iniziare a studiare la pratica). Una volta avviato il dominio, ci sono i costi di gestione del registro, ma sui costi ci torniamo fra un attimo; qui anticipo solo che un comune dovrebbe mettere a budget circa 500 mila euro per giocare questa partita.
E veniamo alle considerazioni che sta facendo un comune importante tra i tanti interessati dal tema: “È altresì difficile pensare di ottenere un flusso imponente di entrate da questa operazione dato che il possesso del dominio “.città” dovrebbe essere orientato a fini soprattutto etici, di servizio al cittadino. Eventualmente potrebbe avere una serie di vantaggi indiretti in termini di branding, riconoscimento, visibilità, incremento turismo, rapporti commerciali. Ma è tutto da verificare: in questo momento sarebbe un investimento al buio, con i precedenti dei domini punto biz, punto travel e punto info, per esempio, che si sono rivelati dei flop per chi li ha presi. Da tutte queste considerazioni è prevalente l’idea di rinunciare per il momento, risparmiando una bella somma che sarebbe difficile giustificare alla Corte dei Conti ma anche trovare disponibile nel bilancio di un comune di questi tempi. Stare alla finestra e attendere l’apertura di una nuova finestra non comporta grandi rischia laddove ci sia una adeguata copertura da parte del governo e da ICANN nei confronti di eventuali abusi”. Per esempio: nel mondo, e in particolare negli Stati Uniti, esistono altre città di nome Roma o Firenze o Venezia. Se una di queste facesse domanda del dominio punto Rome, bisognerebbe muoversi per bloccare la richiesta.
Come finirà? Non lo so, ma mi interessa capirlo. Mi interessa sentire la voce dei comuni italiani ma anche quella del CNR e magari quella di ICANN, che potrebbe per esempio chiarire qual è il vantaggio per l’ecosistema Internet di questa moltiplicazione dei domini (il vantaggio per ICANN invece è evidente: una monetizzazione del web). Questa storia insomma può essere una grande occasione: non solo per ragionare sui possibili nuovi domini, ma anche sullo sviluppo di Internet in questo paese e sull’utilizzo che deve farne la pubblica amministrazione. Parliamone.
post scritto per Repubblica Sera, riproposto qui per gentile concessione