Diamo un senso all’Expo italiano: battere la fame nel mondo
Negli ultimi due anni ho avuto il privilegio di poter vedere la vicenda dell’Expo 2015 da una luce diversa. Mentre sui giornali imperversano polemiche su appalti, espropri, infiltrazioni mafiose – cioé tutte cose che faremmo bene a non esporre all’attenzione del mondo – sono stato chiamato da Beppe Sala. Non ricordo la data esatta, ma era l’estate scorsa più o meno. Lui, manager di fama, era arrivato per salvare una nave che stava affondando. Io ero curioso di capire se davvero stavamo sprecando l’ennesima occasione di fare qualcosa di utile, per l’Italia ma anche per il mondo. Di Expo conoscevo due cose: i bozzetti fantascientici che Vito Di Bari aveva confezionato di corsa per l’allora sindaco Letizia Moratti al momento di vincere la gara per l’aggiudicazione dell’evento; e i primi rendering del progetto che trasformava Milano in un grande orto urbano, sviluppando il concetto “feeding the planet” alla maniera di Slow Food.
Sala si presentò più o meno così: “Sono un lettore di Wired”. Non lo diceva per ingraziarsi il direttore del giornale, cioé chi vi scrive, ma perché pensava che l’Expo fosse “wired”, cioé potesse o dovesse diventare un grande contenitore di innovazione. In quei giorni l’argomento Expo era associato ad alcune delle cose meno innovative d’Italia (quelle che citavo all’inizio) e glielo ricordai. Sala non batté ciglio: lo lasciai con l’impressione che avesse una montagna sulle spalle ma che ci avrebbe provato davvero a spostarla.
In primavera ci siamo rivisti. Mi diede in lettura un monumentale studio di fattibilità dell’Expo fatto da una importante società di consulenza. Lo lessi e come al solito fui franco. Era un gran lavoro, ben fatto, ma sui contenuti non c’eravamo proprio: quelli erano zero. Bisognava ripartire e farlo in fretta.
Ieri l’ho rivisto per l’insediamento di un Innovation Advisory Board di gran livello: ne fanno parte alcune delle persone che più stimo in questo campo. Cito il presidente del Cnr Francesco Profumo, il direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia Roberto Cingolani, il ceo di Microsoft Pietro Scott Jovane, quello di Cisco David Bevilacqua e il direttore di Ted Global Bruno Giussani. Bella e giusta mossa quella di chiedere a degli innovatori di spogliarsi delle rispettive cariche ed aziende per dare un contributo concreto a quello che in ogni caso sarà un grande evento italiano. Con un problema: in quel comitato non c’è una donna. Quindici uomini e nessuna donna. Mi sembra un errore, anzi è un errore. Conosco almeno altrettante donne di straordinario valore che potrebbero dare un contributo a un board di innovatori. Non si tratta di fare delle quote, ma di includere sensibilità diverse. Escluderle vuol dire essere più poveri e avere dei risultati peggiori. Se conosco Sala, è un errore al quale porrà rimedio già alla prossima riunione.
In un brief informale con i giornalisti che è seguito alla loro riunione ci è stato detto che si era passati dagli orti ad una visione ipertecnologica dell’evento ma proprio l’advisory board, su spinta del capo di Technogym Nerio Alessandri, aveva spinto per rimettere l’uomo al centro e usare la tecnologia come mezzo e come fine. Sacrosanto, non c’è bisogno di dirlo.
Sala ha poi chiesto un consiglio su come fare dell’Expo un evento che scaldi il cuore delle persone. Su questo ho un suggerimento, anzi esprimo un auspicio. Mi correggo: è una richiesta formale. Da una Expo dedicata al tema della alimentazione, io mi aspetto che diventi un momento di mobilitazione mondiale per mettere fine alla fame del mondo. So che può apparire retorico dirlo ma non lo è. In Italia ospitiamo la sede del World Food Program, lo guida una energica e passionale signora americana, Josette Sheeran. Ho avuto il privilegio di ascoltarla sul palco del Ted Global a Edinburgo lo scorso luglio. E il suo discorso mi ha così appassionato che sono andato a studiarla in rete. Lei racconta in sostanza che un miliardo di persone soffrono di fame nel mondo e sostiene che oggi abbiamo tutta la tecnologia necessaria per porre fine per sempre a questi omicidi quotidiani. “Abbiamo tutta la tecnologia necessaria” è una frase forte. E ci ricorda a cosa deve servire la tecnologia: a farci vivere meglio e possibilmente a non far morire di fame un miliardo di persone. Vorrei che l’Expo italiana impugnasse con convinzione questa bandiera e andasse a ripetere questo messaggio in ogni angolo del mondo e costruisse una iniziativa forte e solida per far sì che nel 2015 si dica: ce l’abbiamo fatta.