Diritti umani, la sottile linea rossa fra Vodafone e BlackBerry
E quindi: i rivoltosi che hanno messo Londra e ferro e fuoco usando anche il servizio Messenger dei BlackBerry per non essere intercettati sono dei delinquenti, e la RIM che ha subito offerto al governo inglese i dati con gli autori dei messaggi incriminati ha fatto il suo dovere. Giusto. Epperò: le migliaia di persone che qualche mese fa hanno occupato per settimane piazza Tahir al Cairo organizzandosi anche con Facebook e Twitter sono dei coraggiosi rivoluzionari, mentre la Vodafone che ha obbedito all’ordine del presidente Mubarak di mandare a tutta la popolazione messaggi di sostegno al cadente regime, ha invece ceduto al più vile collaborazionismo. Giusto anche questo? Molti diranno di sì, ma la Vodafone, che si è beccata una campagna mondiale contro e persino un sito dedicato Ihatevodafoneegypt.com ovvero Ioodiolavodafoneegiziana.com, ha buoni argomenti per dimostrare che il suo comportamento non poi è tanto diverso da quello della RIM (che produce i BlackBerry). E lo stesso in linea teorica potrebbe dire Nokia, che attraverso una sua società partecipata con Siemens, aiutò il presidente iraniano Ahmadinejad ha individuare e punire gli eroici protagonisti della mancata rivoluzione di Tehran del giugno 2009 (e naturalmente anche Nokia divenne il bersaglio di una campagna mondiale guidata dal premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi). Certo la differenza nei tre casi esiste ed è netta: Cameron è il premier di una democrazia, non un dittatore e per opporsi in una democrazia ci sono strumenti diversi dal dare fuoco ai palazzi. Ma la questione del rapporto fra nuove tecnologie della informazione e diritti civili è sempre più urgente. E non riguarda solo le rivoluzioni: qualche mese fa Amazon decise di sfrattare WikiLeaks dai suoi server per non essere complice di un nemico del governo americano: fece bene? E soprattutto: ne aveva il diritto? E per tornare alle rivoluzioni, i fornitori di tecnologia e connettività possono solo assistere ai fatti o debbono anche partecipare? Ed è giusto pretendere che sostengano indirettamente i ribelli o è piuttosto inevitabile che rispondano ai governi in carica per quanto spregevoli essi siano? Le domande sono tante. Qualche mese fa Eugeny Morozov ha provato a dare delle risposte nel libro The Net Delusion, ma a parte il merito di evidenziare i casi in cui i regimi utilizzano Internet per la repressione del dissenso, l’analisi di Morozov manca a mio avviso di una prospettiva piu ampia. Quella prospettiva che tenterà di avere – a ottobre a San Francisco – il primo summit Silicon Valley Human Rights. Fortemente voluto dal presidente di Access Now, l’australiano Brett Solomon che dopo avere costretto la Vodafone a dare riconoscimento formale alla campagna post rivoluzione d’Egitto, in questi giorni ha lanciato una petizione mondiale per dire al premier Cameron: “Non spegnete i social network o l’Inghilterra sarà come la Siria e il Bahrein”.
(pubblicato su Vanity Fair del 17 agosto 2011)