TED, una Magna Charta per Internet e l’importanza di parlare un inglese perfetto
Correre al tramonto verso il mare tra prati scintillanti di verde e castelli arroccati non ha prezzo, per tutto il resto c’è Ted Global. La seconda giornata è stata così densa di contenuti e sorprese che meriterebbe quattro o cinque post distinti. Metterò tutto in questo invece. Partendo dall’inizio. La prima sessione del mattino, titolo Future Billions.
Non so se conoscete Niall Ferguson. Io no. L’ho scoperto oggi e ho scoperto che è una sorta di star della storia (lo aiuta il fatto che è good looking e very smart speaking). Insegna ad Harvard, collabora con Oxford, ha scritto libri su quasi tutto, non scherzo, e il suo masterpiece è Civilization, the West and the Rest. Il suo talk era su questo. Alcune cose che ha detto. Le persone vissute nel mondo sono 106 miliardi. Il motivo del successo del mondo occidentale rispetto al resto non dipende dalla geografia né dal carattere nazionale come dismostrano i casi delle due Germanie (una fa la Trabant, l’altra la Mercedes) e delle due Coree. Dipendono dalle leggi e dalla istitutizioni come ci spiego duecento anni fa un grande scozzese Adam Smith. Sei le killer app, ha usato questa metafora, degli occidentali: Competition, Scientific revolution, Property rights, Modern medicine, The consumer society, The work ethic. Tutto ruotava e ruota attorno all’education, l’istruzione. E da questo punto di vista la pacchia è finita, o, per dirla con Ferguson “the great divergence is over” visto che gli studenti cinesi battono al test Pisa gli americani nella stessa proporzione in cui gli americani battono gli albanesi.
Sul tema Usa-Cina è poi tornato un docente del Mit molto brillante, Yasheng Huang, ma il discorso che mi ha davvero colpito è stato quello di Josette Sheeran. Lei è direttrice del World Food Program e naturalmente è venuta a parlare di fame nel mondo. Quando si tocca il tema di solito uno si gira dall’altra parte, oppure fa una faccia di circostanza come dire, sì certo mi colpisce molto la cosa ma che posso farci? La Sheeran ce lo ha detto cosa possiamo farci. Ha detto delle scomode verità come. “There’s enough food on earth for everyone to have 2700 kC/day. But we lose a child to hunger every 10 seconds”. E poi: “”The cost of malnutrition is an average of 6% of GDP per year. We cannot afford to not invest in nutrition”. E ancora: “It’s unacceptable that a child wake up and not find a cup of food”. Cosa fare? Secondo Josette oggi abbiamo la tecnologia e la scienza per poter affrontare e risolvere il problema. Qui, per l’Huffington Post, la sua ricetta in 10 mosse. Mi ha molto colpito la sua determinazione e anche la sua concretezza. Speriamo bene.
A proposito di concretezza la session aveva anche lo speech di Tim Harford, Undercover Economist, firma del Financial Times e autore di un libro che sembra intrigante Adapt: why success always starts with failure. E’ giovane ma ha parlato da saggio. Ha detto che il mondo è molto complesso e che non ci sono soluzioni semplici. Anzi, nella gran parte dei casi nemmeno le conosciamo le soluzioni. Che l’unica cosa da fare è tornare umili, abbandonare il God’s Complex e provare. Trial and Error la sua ricetta. Chiusa con una bellissima citazione: “It is very difficult to make good mistakes”.
Matt Ridley, che si definisce Ottimista Razionale come il suo bel libro, ha guidato la sessione Emerging Order. Qui ho annotato con orgoglio che il genetista Svante Paabo (“We Are all africans… We mixed with Neanderthal… We have always mixed!”), ha attinto a piene mani ai lavori del nostro Cavalli-Sforza. Mi ha molto incuriosito invece il percorso di Mark Pagel, Evolutionary Biologist alla Reading, presentato da Ridley come “virtuoso darwiniano”. I suoi studi sulla origine del linguaggio sono brillanti, dimostrano che il linguaggio è nato per “put ideas together and prosper”, la premessa di quel social learning che rende l’uomo diverso dallo scimpanzé. E ha concluso, arditamente che “Our destiny is to be one World with One language”.
A fine mattinata è stato solennemente annunciato il primo talk messo online. Quello di Rebecca MacKinnon, fondatrice con Ethan Zuckerman di Global Voices. E solo allora mi sono accorto di non aververlo segnalato. Perché? La risposta più ovvia è che abbia fatto un errore di valutazione. La MacKinnon ha fatto un potente discorso sulla Rete, auspicando una Magna Charta che ridia peso e potere ai cittadini della Rete rispetto ai governi e alle corporation. GIustissimo. Solo che quando si parla di mettere regole a Internet io penso all’Italia, ai ministri che ci rappresenterebbero, ai parlamentari che non sanno, all’AgCom e mi spavento. Sbagliando però, il discorso della MacKinnon pone problemi giusti e indica una strada che va percorsa.
Quando qualche giorno fa ho scritto che qui non c’erano speaker italiani non ho aggiunto che il gran capo del Ted Global è un italiano, Bruno GIussani che dal 2005 ha affiancato Chris Anderson nella costruzione della macchina del TED. Ieri Bruno ha incontrato i giornalisti alla pausa pranzo, una occasione per capire di più come funziona il TED e a cosa punta. Ecco in estrema sintesi cosa ha detto (scusate se mischierò italiano e inglese qui).
Il TED oggi punta tutto sulla forza della community e dei network che riesce a creare. Siamo una Open platform per la condivisione della idee, and we put only framework all’interno dei quali le persone decidono come partecipare. La formula del talk da 18 minuti non è molto partecipativa è vero ma è quella che ci garantisce la massima trasmissione di conoscenza. Il face to face lo abbiamo fatto ma funziona solo se hai le persone giuste. A panel is extremely boring, the dynamic does not work, does not transmit real knowledge. La questione dei messaggi in tempo reale è un problema di filtri visto che ne arrivano tremila l’ora.
Il motivo per lasciare la sede di Oxford e spostarsi in Scozia è stato essenzialmente una questione di infrastrutture. Il centro congressi di Edimburgo ha spazi e mezzi che ci consentono cose che erano impossibili nel teatro di Oxford. Per non parlare della mancanza di alberghi che costringeva molti a dormire negli alloggi universitari, il che può essere curioso ma alla lunga non funziona. Il fatto è che chi viene al TED non solo spende molti soldi, ma ci offre una cosa ancora più importante, una settimana del proprio tempo. Ed è giusto che viva grandi esperienze in ogni momento.
Perché abbiamo scelto di lanciare online il talk della MacKinnon? Perché è “the talks best representing us”, è una specie di chiamata alle armi ai cittadini del mondo, e poi TED ha una tradizione nella tecnologia. E naturalmente perché era un gran bel discorso. Non nego che ieri sera fra noi c’è stato un acceso dibattito, eravamo indecisi fra questo talk e un altro che andrà online domani.
Il discorso di Julia Bacha ha fatto arrabbiare gli israeliani? Lo sapevamo. Julia ha le stesse risposte negative in certi ambienti dei territori palestinesi. TED is not political but this does not mean that we do Not debate politics: ieri Wilkinson e Blond hanno dato ricette opposte, una di sinistra e una di destra, ma partendo dalle stesse premesse: the system is broken.
Tornando al TED, nel 2005 eravamo solo una conferenza e un sito internet. Allora decidemmo di mettere online il primo talk: ricordo che avevamo dei timori, pensavamo, c’è gente che ha pagato per sentirlo e noi lo diamo a tutti? Era l’anno in cui nasceva YouTube e lo facemmo. Mettemmo il discorso di Malcom Gladwell che sarà qui domani. Ebbe 15 mila views che per allora era un trionfo. Chi era venuto alla conferenza ci scrisse: avete fatto bene, queste idee vanno condivise. Mentre dal resto del mondo ci arrivavano mail del tipo, quel video ha cambiato la mia vita, grazie! That turned the company around: da conferenza a piattaforma di condivisione di idee.
Il futuro? Stiamo ragionando su un progetto scuola, si chiama TedED, è un progetto di radical openess. Qualche mese fa abbiamo lanciato l’idea e abbiamo fatto un brain trust online: ci sono arrivate settemila risposte. Non ho ancora dettagli su cosa faremo di preciso, Ma so che la vera sfida del futuro è l’educazione scolastica, e che ci sono mille strade per rifare un sistema che non va, magari usando la tecnologia e i video, vedremo come portare la scuola al next level. Intanto abbiamo rilasciato il primo video non in inglese: è in spagnolo e viene da un TedX, una delle migliaia di conferenze autogestite che si fanno nel mondo.
Viviamo un incredibile momento di trasformazione mondiale, è come essere dentro un gigantesco esperimento sociale: che succede quando tutti hanno accesso gratuito a tantissime informazioni? Non lo sappiamo ma sappiamo che è una grande opportunità per l’innovazione e la creatività. In questa traformazione molti ci chiedono di fare conferenze verticali su un tema ma noi crediamo che la forza del TED sia la sua interdisciplinarietà, la capacità di mischiare approcci e soluzioni diverse: prendete il discorso sulle città che ha fatto Geoffrey West ieri, solo un fisico poteva farlo.
Infine ho chiesto a Bruno, che conosco da qualche anno: non ci sono speaker italiani perché? abbiamo un problema di innovazione in Italia? L’ho chiesto sapendo bene che a febbraio in California c’erano Carlo Ratti e Fiorenzo Omenetto (che lavorano negli Usa) e che ad Oxford c’erano Loretta Napoleoni (da Londra) e Stefano Mancuso da Firenze la cui storia Giussani aveva scoperto proprio su Wired Italia. Giussani l’ha presa larga la risposta: ha detto che tanti paesi hanno problemi con l’innovazione, ha spiegato che ormai le segnalazioni gli arrivano da tutto il mondo grazie alla rete dei TedX e che quando deve prendere uno speaker non valuta solo la storia ma anche la capacità di raccontarla in un inglese perfetto, il che, aggiungo io, taglia fuori molti italiani. La conferenza stampa è finita lì e Luca De Biase, che la sta seguendo per il Sole 24 ore, mi si è avvicinato ripetendo la mia domanda finale calcando sull’accento romano. Una amabile presa in giro ma anche un consiglio: tutti dobbiamo migliorare l’inglese, non è un modo di dire, è un imperativo. Io questa estate ricomincio a studiarlo. Subito.
post scriptum. C’è poi stato anche un lungo pomeriggio. Di cose belle e bizzare. Come un robot che viaggia su una sfera, un mago di realta (Marco Tempest, bravissimo!!!), e una strana ragazza che vestita da fungo che ci ha parlato di un progetto di funghi che vengono allevati a riconoscere il nostro corpo così quando moriremo ci mangeranno e non lasceremo scorie in giro (non è uno scherzo anche se in sala qualcuno ha riso rumorosamente, per saperne di più cercate infinity mushrooms). Ma soprattuto Misha Glenny e poi Mikko Hypponen hanno fatto due discorsi intelligenti e molto avanzati sul tema degli hackers. Ma direi che per oggi basta così.