Habemus Obama (mister BO)
L’attesa non è stata lunga. Alle due del pomeriggio di domenica 19 giugno – ora di Washington DC -, il primo tweet originale è stato mandato a nove milioni di followers in attesa. Questo il testo del messaggio, scelto con cura: “Il mestiere di padre è talvolta il più duro ma è sempre quello che ti dà più soddisfazioni. Felice festa del papà a tutti. BO”. Dove BO sta per Barack Obama e sta a significare che quel messaggio via Twitter è stato vergato personalmente dal presidente e non dallo staff che cura la sua campagna per la rielezione alla Casa Bianca. Come invece accade per tutti gli altri.
Il caso era scoppiato qualche giorno prima quando l’account @barackobama aveva comunicato che “il controllo delle operazioni” era passato al team elettorale del presidente, ma che messaggi più personali sarebbero stati vergati direttamente da Obama e li avremmo riconosciuti per la sigla finale BO. Può sembrare una storia minore e invece testimonia due fatti importanti.
Il primo è il ruolo di Twitter: la scorsa campagna per la Casa Bianca venne giocata soprattutto via Facebook, ma in questi quattro anni il social network di messaggini da 140 caratteri è cresciuto moltissimo e nei paesi arabi ha dimostrato grandi potenzialità di mobilitazione politica.
Il secondo fatto è la difficoltà di Obama nel sedurre l’opinione pubblica: nonostante l’uccisione di Osama bin Laden il presidente degli Stati Uniti continua ad avere un gradimento bassino (in un recente sondaggio viene dato per sconfitto contro un generico candidato repubblicano).
Che fare? Ripartire anche da Internet e dai social network. Ma se nel 2007 gli bastò usare al meglio la Rete indirettamente (Obama si vantava di non aggiornare lui stesso Facebook e Twitter perché aveva “le dita troppo grosse” per digitare sul suo BlackBerry), stavolta non può permettersi nessuna delega. Sulla Rete infatti vincono la sincerità e la personalizzazione. Benvenuto, mister BO.