I numeri su carceri e Covid
«Noi detenuti viviamo ogni giorno nelle terrore di essere contagiati dal virus e di morire qui dentro. Sì terrore, perché in queste celle sovraffollate è impossibile rispettare il distanziamento e non abbiamo mascherine o gel disinfettante. Terrore perché ci sentiamo abbandonati e la nostra incolumità sembra essere lasciata al caso. Ma perché in carcere non contano le regole per il Covid che valgono fuori?».
È questa una delle tante lettere inviate dalle persone detenute a “RadioCarcere”, rubrica in onda su Radio Radicale. Lettere in cui le parole “terrore” e “Covid” sono sempre più ricorrenti. Un terrore questo che è fondato e che trova conferma nella realtà dei numeri sui contagi nei penitenziari italiani. Numeri di contagi nelle carceri che dimostrano come la diffusione del virus sia aumentata a dismisura in soli tre mesi e con una rapidità senza precedenti. Un’impennata del virus dietro le sbarre che dovrebbe indurre, sia la politica sia chi è chiamato ad amministrare le italiche galere, ad intervenire prima che sia troppo tardi.
D’altra parte i dati, che non è mai facile reperire (ma la continuano a chiamare “trasparenza!”), parlano chiaro. Infatti se il 10 settembre c’erano solo 10 detenuti e 11 agenti positivi, alla data del 12 novembre risultavano contagiati 653 detenuti, 824 agenti e 66 operatori che lavorano nelle carceri. Totale: 1.543 positivi. Un numero di contagi che nelle carceri non si era raggiunto neanche durante la scorsa primavera e che è anche in continua evoluzione. E non solo. Quello che colpisce è la rapidità di diffusione del virus nei penitenziari. E questo perché, non solo in tre mesi si è passati da 21 contagiati a oltre 1.500, ma anche perché in poche settimane si è registrato un incremento dei positivi nelle carceri pari a quasi il 450% (il 27 ottobre risultavano contagiati 344 persone tra detenuti, agenti e operatori).
Numeri questi che, rispetto a quelli sui contagi dei cittadini liberi, possono sembrare a prima vista modesti, ma che invece, per quel mondo separato e abbandonato che sono le nostre prigioni, modesti non sono. Anzi, sono i numeri di una tragedia annunciata. Infatti, esattamente come vale per le Rsa ovvero come vale per tutti i luoghi chiusi, occorre contestualizzare questi dati e occorre calarli all’interno della realtà delle carceri. Carceri che sono spesso luoghi osceni, insalubri e dove la promiscuità è regola. Carceri che sono vecchie, sovraffollate e dove ci vivono più di 54.800 persone a fronte di circa 47 mila posti effettivi. Carceri dove il diritto alla salute è da sempre una chimera, figuriamoci ora! Carceri dove sta diventando praticamente impossibile trovare posto per poter isolare tutti i detenuti che ogni giorno si scoprono positivi.
Ma non basta. Infatti, a tutto ciò si deve aggiungere che l’emergenza Covid nei penitenziari viene affrontata in modo disomogeneo e manca una strategia unitaria. Tradotto: ogni carcere è una Repubblica a sé. E così, in alcune carceri si fanno i tamponi in modo razionale (asintomatici e non) e con cadenza regolare, ma in tante altre no. Come manca un’applicazione omogenea di quelle poche regole che sono previste proprio per arginare la diffusione del Covid nelle prigioni. Ad esempio, è stato stabilito che le persone appena arrestate debbano essere messe da sole in una cella per un po’ di giorni. L’obiettivo è chiaro: evitare che un nuovo arrestato contagi gli altri detenuti. Lo chiamano “isolamento precauzionale”. Bene. Peccato che in alcuni penitenziari questa regola venga applicata in modo assai irrazionale, per non dire pericoloso. In particolare accade, e non di rado, che questo isolamento “precauzionale” venga fatto chiudendo tre detenuti nella stessa cella e senza neanche fargli il tampone. Lo chiamano “isolamento di corte”.
Ora il Governo, su impulso del Ministro Bonafede, ha cercato quantomeno di intervenire sul sovraffollamento e nel decreto “Ristori” ha previsto la detenzione domiciliare per chi ha un residuo pena entro 18 mesi. Misura questa che era già stata adottata ad aprile e che già allora portò risultati assai modesti, tanto che ne beneficiarono poco più di mille detenuti. Una goccia nel mare. “Prendere misure necessarie per evitare una tragedia nelle carceri” disse a marzo Papa Francesco. Ed ecco allora la questione ancora attuale. L’inerzia, l’incertezza, o peggio ancora, l’indifferenza di chi già oggi può evitare una tragedia annunciata.