Il Csm e il punto di non ritorno
È evidente che questo Csm è giunto a un punto di non ritorno. Come è evidente che è imminente il suo scioglimento. E il motivo è semplice. Un imbarazzante conflitto di interessi e un altrettanto imbarazzante crollo della credibilità.
Una vicenda complessa quella che ha travolto il Csm, che però trova la sua sintesi in due parole: ipocrisia e degenerazione.
L’ipocrisia. In queste settimane si è fatto un gran parlare di “toghe sporche”, di “guerra tra correnti” e di “mercato delle toghe”.
Parole ipocrite perché dimenticano il passato anche recente del Csm. Parole che dimenticano, volendo dimenticare, come ha funzionato fino a oggi l’organo di autogoverno della magistratura e su quali logiche correntizie si basavano (e si basano) le proprie decisioni.
Si dimentica la vergognosa condotta del Csm contro Giovanni Falcone, si dimenticano le lettere del “Corvo” e si dimentica il recente duello senza senso tra Greco e Melillo per la nomina a capo della Procura di Milano.
Morale: in modo ipocrita, oggi si urla allo scandalo quando è noto che da anni il Csm non sempre opera per il bene comune, selezionando il migliore tra i magistrati, ma spesso opera per assecondare misteriosi accordi tra correnti.
Non prendiamoci in giro. Nulla di nuovo sotto il sole. La degenerazione. A ben vedere il fatto veramente nuovo di questa triste vicenda, non è da ricercare in una questione morale o nell’esistenza di un’ipotetica associazione segreta tra politici e magistrati.
E questo perché nel Csm la concertazione tra politici e magistrati, segreta o no, morale o immorale, c’è sempre stata. Il fatto nuovo è la degenerazione delle condotte. Il fatto nuovo è che un magistrato indagato e un politico imputato, Palamara e Lotti, inseguirebbero un interesse personale cercando di screditare i Pm che li stanno accusando, Giuseppe Pignatone e soprattutto Paolo Ielo.
Un discredito architettato a fini personali, e non per favorire le correnti, che viene attuato attraverso la presentazione di un esposto firmato da un altro magistrato: il pm di Roma Stefano Fava.
Dunque, non l’accordo tra correnti per la nomina del nuovo capo della procura di Roma, ma l’accordo tra due indagati per mandare via Paolo Ielo dalla Procura capitolina.
Una degenerazione delle condotte che ha travolto inevitabilmente il Csm e che ha messo in luce tutta la patologia della logica correntizia.
Csm che ora di fatto si trova a un punto di non ritorno e su cui incombe l’imminente scioglimento.
Restano due domande: che senso ha sciogliere il Csm se non si cambia radicalmente anche la legge che determina l’elezione dei suoi membri? In che modo si potrà mai arginare il patologico ruolo delle correnti, se non con un sorteggio che segua criteri di buon senso?