Dal Sudafrica una lezione per l’Italia
Non dall’Inghilterra, non dalla Francia o dalla Germania. Questa volta l’esempio di come si deve celebrare un processo penale arriva dal Sudafrica. E l’esempio è il caso Pistorius. Un giudizio subito dall’atleta, che è un modello di efficienza processuale, per noi ancora molto lontano. Infatti in Sudafrica si è celebrato un processo dai tempi ragionevoli, durato poco più di un anno. Un processo dove l’imputato, anche se accusato di omicidio, è rimasto libero e non è stato sottoposto a una lunga misura cautelare in carcere. Un processo terminato con una sentenza di condanna esecutiva di primo grado. Una sentenza dove il giudice, visto il caso concreto, non si è limitato solo a quantificare la pena, ma ha anche potuto operare una scelta tra una pena detentiva o una pena diversa dal carcere.
Da noi, culla del diritto, lo scenario è completamente diverso e non è di certo migliore. Ferraro e Scattone, Sollecito e la Knox, Pappalardi e da ultimo Bossetti, sono solo alcuni casi che segnano la profonda differenza, il baratro, che esiste tra la nostra giustizia e quella del Sudafrica. Noi, che non siamo sudafricani, mettiamo in carcere presunti non colpevoli che per anni attenderanno un giudizio. Noi, che siamo più evoluti, celebriamo processi che durano un’eternità e che terminano con una decisione tardiva che, come tale, è sempre ingiusta. Noi, che siamo tra i protagonisti dell’Europa moderna, abbiamo un processo di primo grado accusatorio dove però la decisione del giudice non è esecutiva e vale assai poco, grazie a un giudizio di secondo grado di stampo inquisitorio. Noi, che siamo migliori degli “africani”, abbiamo ancora un sistema delle pene che risale all’illuminismo e che è fondato solo sul carcere. Un sistema vecchio di secoli, che impedisce al giudice di primo grado di infliggere pene diverse da quella detentiva.
Morale: il Sudafrica ci insegna la giustizia. Ma noi, come studenti svogliati, non la capiamo.