L’evasione di Gagliano e un sistema al collasso
Torino. 17 dicembre.
Un agente della polizia penitenziaria spara ad un collega e poi si uccide.
Genova. 18 dicembre.
Bartolomeo Gagliano, pluriomicida, evade durante un permesso premio.
Due fatti gravissimi. Due episodi causati dalla stessa patologia. Due conseguenze del collasso in cui versa il sistema penitenziario. Un collasso che riduce le persone detenute a dei subumani. Un collasso che induce alla disperazione chi ci lavora. Un collasso che impedisce al Giudice della pena di lavorare correttamente. Esattamente ciò che pare sia accaduto nel caso di Bartolomeo Gagliano.
Sia chiaro. Ogni concessione di un permesso per un detenuto implica un rischio. Il rischio della fuga o della commissione di altri reati. Un rischio che è fisiologico. Un rischio che, in base alle statistiche, è bassissimo e che vale la pena correre: chi beneficia di permessi o di misure alternative, di rado torna a delinquere.
Ma nel caso di Gagliano, è evidente che siamo ben al di là del rischio fisiologico. Siamo ben al di là del dato statistico. E allora c’è altro che non ha funzionato. Una disfunzione che va ricercata nella qualità delle informazioni che il magistrato di sorveglianza di Genova ha ricevuto dal carcere dove era detenuto Gagliano. Informazioni, fornite da psicologi, educatori e dirigenti penitenziari, in base alle quali quel magistrato ha concesso il permesso. Insomma, la patologia di un sistema, non è fatta solo di decisioni giurisdizionali sbagliate. Spesso è causata da una pubblica amministrazione scadente.