Sulla giustizia non cambia nulla
Oggi, tutto è più chiaro. Anche con il governo Monti il destino per la nostra malandata giustizia, e per le indegne galere, è per ora segnato: che nulla cambi.
Un non cambiamento, un’immobilità, cristallizzato nelle linee programmatiche del Ministro della giustizia, Paola Severino. Ministro che, sia al Senato che alla Camera, ha ripetuto pochi ed identici concetti. Due i punti fondamentali per la giustizia penale: lo studio di misure alternative alla detenzione per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri e la riduzione del numero delle circoscrizioni giudiziarie. In particolare, per quanto riguarda la tragica situazione presente nelle carceri italiane (che a detta del nuovo Guardasigilli è una priorità), il Ministro Severino ha sostanzialmente detto che più che a un’amnistia sarebbe meglio ”verificare se non ci siano altri mezzi deflattivi con portata stabilizzante del sistema carcerario” e ha insistito sulla necessità di approfondire lo studio sul ricorso al famigerato braccialetto elettronico.
Un intervento quello del Ministro Severino che delude e lascia perplessi. Non solo perché pare trascurare qualsiasi riforma sistematica sul processo penale (che invece è il centro del problema), ma anche perché, per quel che concerne la detenzione, sembra orientato a operare solo piccole e marginali riforme.
Ad esempio, è troppo evidente che per arginare l’emergenza carceraria (che conta oltre 22 mila persone in più rispetto alla capienza regolamentare) non possono di certo bastare nuove misure alternative alla detenzione. E questo per due principali ragioni. La prima: tali modifiche non comportano un miglioramento immediato sul sovraffollamento, richiedendo un notevole tempo per la loro approvazione in Parlamento e dovendo poi essere applicate dal magistrato di sorveglianza.
La seconda: le misure alternative ipotizzate dal Ministro riguardano solo le persone condannate in via definitiva, che sono circa 37 mila su 68 mila detenuti, quando nelle nostre carceri ci sono più di 28 mila persone in attesa di giudizio.
Come dire: interveniamo sui colpevoli e ignoriamo i presunti non colpevoli? Difficile sostenerlo.
Ma non solo. Il Ministro Severino, non si è detta contraria, ma ha rimesso al Parlamento l’iniziativa politicamente più scomoda: affrontare l’emergenza con quegli strumenti legislativi (assai più incisivi) dettati dalla Costituzione, ovvero amnistia e indulto.
In altre parole, le linee giuda del Guardasigilli ricordano molto l’approccio di chi compra una casa che ha il tetto crollato e si preoccupa solo di scegliere alcune parti dell’arredo, senza pensare al progetto nel suo insieme e alla cosa più importante dal punto di vista dell’emergenza. Ovvero a come ricostruire il tetto crollato. Una scelta di priorità un po’ strana non credete?
Al contrario, è evidente che la crisi della giustizia e il collasso delle carceri si devono affrontare su due piani diversi: quello dell’emergenza, attraverso un’amnistia e un indulto, e quello del sistema nel suo complesso, prevedendo riforme sistematiche che evitino un domani di ritrovarci con tribunali affogati da processi ed incapaci a rispondere alla domanda di giustizia o con carceri sovraffollate da persone detenute, costrette a subire un trattamento disumano e degradante. Due piani di intervento, quello sull’emergenza e quello sul sistema nel suo complesso, che sono diversi ma che sono anche strettamente collegati tra loro. Anzi si potrebbe dire che sono due piani di intervento dipendenti tra loro, servono entrambi. Oggi infatti la situazione è talmente grave per cui sarebbe sbagliato pensare di approvare solo un atto di clemenza, senza prevedere le riforme necessarie, come sarebbe sbagliato approvare solo riforme di sistema, senza prevedere anche un atto di clemenza.
Ma il Ministro Severino è troppo preparata e ha troppa esperienza per non sapere tutto ciò. Il fatto è che questo Governo ha una priorità ben chiara, che è quella del risanamento economico. Una priorità condivisibile che però suscita una domanda: che senso ha risanare economicamente un Paese, lasciandolo poi nel baratro della sua ingiustizia e della sua inciviltà?