Il fallimento del processo penale
Perugia, 3 ottobre. Dopo 4 anni di misura cautelare in carcere, Raffaele Sollecito e Amanda Knox sono stati prosciolti dalla corte d’Assise d’appello di Perugia dall’accusa di omicidio della studentessa Meredith Kercher, avvenuto nella notte del 1 novembre 2007.
Sollecito e la Knox, all’epoca dell’arresto ventenni, sono stati per 4 anni in carcere ingiustamente, da innocenti. È forse necessario ricordarsi i nostri vent’anni e immaginarci in carcere, chiusi in una cella, per capire cosa hanno passato quei due ragazzi e i danni indelebili che hanno subito.
Finalmente ieri sono stati assolti e hanno lasciato il carcere, ma sta di fatto che la sentenza della corte d’Assise d’appello di Perugia certifica il fallimento del processo penale. Un processo penale che per scagionare e per scarcerare due persone innocenti ci ha impiegato 4 anni. Un tempo sproporzionato e quindi profondamente ingiusto. Un uso della misura cautelare in carcere illegittimo.
Il 6 novembre del 2007, Sollecito e la Knox vengono arrestati. Nel settembre del 2008, dopo un anno dall’omicidio e dopo un anno di carcere, inizia l’udienza preliminare, che durerà più di due mesi. Il 16 gennaio 2009, inizia il processo dinanzi alla corte d’assise di Perugia. Un processo che durerà 14 mesi!
Sollecito e la Knox sono in carcere in attesa di giudizio da più di un anno. Il 24 novembre 2010, inizia il processo d’appello, che durerà 11 mesi e che si concluderà il 3 ottobre 2011.
Morale: tempi biblici per avere giustizia. Un processo che, nonostante avesse imputati detenuti, veniva sospeso durante il periodo estivo. Giudici e avvocati andavano in vacanza! In quale Paese avvengono cose simili? Un processo le cui udienze venivano fissate poche volte a settimana e non tutti i giorni. Udienze che, dopo l’arrivo dell’avvocato Giulia Bongiorno (uno dei difensori di Sollecito), sono state fissate il venerdì e il sabato per consentire all’avvocato Bongiorno di svolgere anche l’attività di deputato. Decisioni che si commentano da sole. Un’eccessiva durata del processo che soprattutto non è giustificata dagli accertamenti compiuti. Pochissimi i testimoni sentiti. Solo una perizia da espletare. Un’attività che ben poteva essere svolta in 3 mesi e non in 4 anni.
Ora ci si domanda: chi ripagherà la vita a questi due ragazzi? Come gli si potranno restituire gli anni più belli della loro esistenza? Siamo certi che il Pm, che ha svolto le indagini, e il Gip, che ha disposto la misura cautelare in carcere, abbiamo svolto bene il proprio lavoro? Siamo certi che la Polizia scientifica, le cui conclusioni sono state smentite dai periti, non abbia commesso fatali errori?
E infine. Quante sono oggi le vittime del processo penale? Quante persone anonime, che non raggiungono gli onori della cronaca, patiscono le stesse ingiustizie? “Che nessuno si senta assolto, siamo tutti coinvolti”, cantava De Andrè. Aveva e ha ragione.