Carceri come gli ospedali: non c’è posto, non entri
Come avete letto qui su Il Post, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ordinato allo stato della California di ridurre la sua popolazione carceraria e di porre rimedio al sovraffollamento delle sue carceri, scarcerando circa 40 mila detenuti. In poche parole, la California o è in grado di rispettare i canoni legali sulla detenzione, oppure deve ridurre il numero dei detenuti. Facile e saggio.
Una sentenza questa che non è solo made in Usa, ma che trova in Europa importanti precedenti. La sentenza del 16 luglio 2009 della Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia a risarcire un detenuto bosniaco per i danni morali subiti da quest’ultimo a causa del sovraffollamento della cella in cui era stato recluso per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia di Roma. La sentenza del marzo del 2011 della Corte Costituzionale tedesca che ha obbligato le autorità penitenziarie del Paese a rilasciare un detenuto qualora non siano in grado di assicurare una prigionia rispettosa dei diritti umani fondamentali. E ancora provvedimenti analoghi assunti in Danimarca e in Norvegia. Paesi dove si è stabilito che la carcerazione deve essere differita se non c’è posto in carcere e se quindi il sovraffollamento determina un trattamento disumano e degradante. Ovvero illegale, da Stato fuori legge.
Desolante il panorama italiano, dove si può solo evidenziare una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia. Circolare che, a seguito della condanna della Corte Europea, ha chiesto ai direttori delle carceri di “vigilare affinché non si verifichino, ed eventualmente non si protraggano, situazioni analoghe a quelle sanzionate dalla Corte di Strasburgo”.
Da tempo, attraverso Radiocarcere, si propone in questo senso una soluzione legislativa. Ovvero prevedere che un carcere, come avviene oggi negli ospedali, non possa accogliere un detenuto in più rispetto alla sua capienza regolamentare. Negli ospedali c’è una legge in tal senso. Non si accoglie un paziente se non c’è posto. Oppure si dimette il paziente meno grave per consentire l’ingresso al paziente più grave. Perchè lo stesso non può avvenire nelle carceri? I malati valgono meno dei carcerati? Non sembra. E allora: fissare ex lege un tetto massimo di capienza per ogni carcere. E, se necessario, scarcerare il detenuto meno pericoloso (magari sottoponendolo agli arresti domiciliari), per far posto a quello più pericoloso. Ma domanderete: in caso di violazione a tale limite? Prevedere una responsabilità penale in capo al direttore di quel carcere che consente un trattamento disumano e degradante. Un responsabilità penale che già oggi è astrattamente configurabile. Consentire l’ingresso in un carcere sovraffollato, con la consapevolezza di violare la legge, nell’esercizio delle sue funzioni e di arrecare un ingiusto danno, sembra infatti integrare il reato di abuso d’ufficio.