Non siamo più in Forma
Non è un bel compleanno quello della Fondazione Forma per la fotografia.
Sarebbe dovuto essere il decimo – da quando sono iniziati i lavori di ristrutturazione – quello che consacra le iniziative che si sono consolidate.
Invece Roberto Koch, ideatore, fondatore e motore di questa bella e importante iniziativa, ha annunciato la chiusura con una conferenza stampa.
Siamo pochi indignati ad ascoltarlo. E io sono molto triste.
Non solo perché mi lega una lunga amicizia ai protagonisti di questa vicenda ma perché ho sempre ammirato la libera iniziativa, l’arte d’imprendere e la passione della cultura.
Parole dure quelle che pronuncia Koch (nemmeno poi tanto a mio avviso) contro le istituzioni che hanno ignorato una realtà privata che “aveva nel dna un vocazione pubblica”: cito fedelmente perché mi sembra una bella sintesi di ciò che è stata Forma.
Uno spazio della città e dei cittadini.
Per chi ama la fotografia, una grande perdita.
In queste sale, ristrutturate perfettamente, abbiamo visto più di 80 mostre, da Richard Avedon a Henri Cartier- Bresson, da Mario Giacomelli a Josef Koudelka, da Peter Lindbergh a Willy Ronis e Paolo Pellegrin solo per citarne alcuni. Molti maestri e pochi emergenti. La breve storia della fotografia d’autore è passata da qui. I nuovi linguaggi invece non avevano ancora trovato posto ma forse, se la cecità istituzionale non avesse abbandonato a se stessa quest’avventura, avremmo avuto nuove e interessanti visioni. O forse la fotografia emergente sarebbe andata altrove se ci fosse stato un luogo da occupare che, vista l’assenza di sostegno, è davvero difficile immaginare la nascita di nuove iniziative.
Forma si proponeva di essere un punto di riferimento per la fotografia d’autore.
Non solo con le mostre ma anche con convegni – importanti e ricchi quelli sullo stato della fotografia – workshop e lezioni.
Non è bastato il mezzo milione di ingressi a Forma in questi otto anni di attività pubblica, non sono valse neppure le relazioni internazionali che ne hanno fatto un punto di riferimento europeo, tantomeno le richieste di attenzione fatte ai vari assessori che si sono succeduti.
Di cosa avrebbe avuto bisogno Forma per vivere?
Di essere ospitata dall’Atm, proprietaria dei locali e di essere riconosciuta da Comune, Provincia e Regione, come una risorsa e come tale far parte dei circuiti e della comunicazione che si deve riservare a un’istituzione culturale.
Forma chiude la bella sede di Piazza Tito Lucrezio Caro nell’indifferenza generale: quella che Milano dedica alla fotografia e che il Paese dedica alla cultura.
Forma non muore perché è l’energia e la passione delle persone, dunque Roberto Koch e Alessandra Mauro – che con Denis Curti in questi anni hanno costituito la direzione artistica e organizzativa – continueranno a pensare e produrre occasioni di fotografia, supportati da uno staff che è cresciuto grazie e con loro.
Come promette Roberto Koch, molte nuove iniziative avranno il marchio Forma – da gennaio 2014 ospitata negli spazi di Open Care in Via Piranesi 10 a Milano – e saranno su tutto il territorio nazionale, di volta in volta in spazi diversi, istituzionali e non.
Rimane il dubbio, sollevato da una domanda verso la fine della conferenza: e se tutta questa indifferenza fosse funzionale a un progetto di vendita dello stabile a un re della moda?
Nulla contro la moda o contro i re, per carità.
A noi, amanti delle fotografie, sarebbe bastato avere una casa, un museo pubblico o misto pubblico privato. A noi, curiosi e affamati di sapere, basterebbe sentirci tutelati da chi abbiamo eletto, quando eravamo certi che sarebbe stato ben più attento alla cultura, dopo l’era delle tre I.