The Cal
Puntuale come ogni anno arriva il calendario Pirelli. Chissene importa, direte voi.
Non è su questi schermi che si commenta o discute questa fotografia. E invece quest’anno, sorprendentemente, mi è venuta voglia di parlarne. Non l’ho mai fatto, neppure per amor di chiacchiera, tanto è stato sempre lontano dal linguaggio fotografico che suscita il mio interesse e la passione.
The Cal, come viene familiarmente chiamato, è un’icona, un simbolo, un manifesto potremmo definirlo. Lo è da quarantotto anni, tranne una pausa negli anni’70 per crisi economica (rischiamo di bissare). Osteggiato dalle femministe di più generazioni, non si compra, si ottiene e dunque, si possiede di diritto, dunque rappresenta a suo modo, uno status.
Segna la carriera di una modella: dopo The Cal è per forza una top. Dodici mesi per dodici corpi di donne bellissime, la fotografia al servizio del manifesto. Anche i fotografi sono top, per forza, proprio come le modelle: Peter Lindbergh, Mario Testino, Annie Leibovitz e poi veri maestri come Richard Avedon o Sarah Moon, tanti si sono avvicendati nel corso del tempo a decretarne il successo e soprattutto, a trarne successo. Un successo che, se la vogliamo dire tutta, è nel marketing più che nella sostanza.
Oggi ne parlo perché l’edizione 2013 è stata affidata a Steve Mc Curry. Americano, vincitore del Robert Capa Gold Medal e di vari World Press Photo, ha ricevuto anche un discusso Ambrogino d’oro da Letizia Moratti. Steve Mc Curry è quello che ha documentato l’invasione russa in Afghanistan, varie guerre e molta India; quello della ragazza dagli occhi verdi e lo sguardo penetrante, profuga afghana, immortalata da una cover del National Geographic nel 1985 e poi ritrovata 17 anni dopo. Membro della Magnum da più di vent’anni è lui, quest’anno, il prescelto per fotografare le ragazze di The Cal. Curioso.
Un signore che, lungo il corso della sua carriera, ha rischiato la vita, è stato in galera, si è spinto sempre a Est e ha colorato ogni conflitto e ogni contraddizione dell’Oriente. Decisamente un fanatico del colore che, a furia di cercarne l’intensità ha fatto delle esplorazioni fotografiche meno profonde e più compiacenti. Perché proprio lui? Perché la sua fotografia, così distante dall’immaginario Pirelli e così connessa a quello del National Geographic? Domande a cui non so rispondere. Perciò me lo sono andata a guardare (qui qualche immagine ma soprattutto il video) e questo post è perché lo facciate anche voi.
Guardatevi il video con attenzione, come fosse un piccolo film, ascoltate il buon Steve e alla fine forse vi capiterà, come è successo a me, di riflettere sulla bellezza, sul suo significato, su come un autore può stravolgerne il concetto e come lo stereotipo stesso della bellezza femminile può essere piegato e umanizzato. Guardandolo, si può capire come la fotografia, nonostante la committenza, di fronte allo stesso soggetto, può restituire l’identità, lo spessore delle individualità e cercare la bellezza nella realtà. Abbandonando i cliché anzi, stravolgendoli. Facendo posare un’attrice non più giovane come Sonia Braga, utilizzando la luce naturale, sporcando i background con le strade di Rio, fondamentalmente attingendo senza paura alla realtà e mescolando top model e non, per ottenere qualcosa che non so dire bello o brutto, ma posso giudicare operazione coraggiosa che rende The Cal una volta tanto interessante, meno plastico, meno distante, in fondo meno noioso. Steve lo sa, ne sono sicura. Sa di aver mescolato le carte nel mazzo e aver fatto un nuovo gioco. In barba alle regole o proprio contro di esse.