Una inutile prepotenza
Chi non si adegua viene cacciato: questa è la linea dei gruppi parlamentari di maggioranza al Senato.
Fuori Mauro, ha deciso “Per l’Italia” (piccolo gruppo centrista separatosi da Scelta civica) martedì sera. Fuori Mineo e Chiti (per la precisione già sostituito pro-tempore perché Presidente della Commissione Politiche dell’Unione Europea), ha deciso il Partito democratico (dico: democratico) ieri.
Credo sia un caso senza precedenti, almeno in questi termini. E infatti: perché tutto ciò? Perché questi senatori (talmente sovversivi che due su tre hanno fatto il ministro) non sono d’accordo con la proposta di modifica del Senato avanzata dal Governo: quella, per capirci, che disegna un Senato inutile eppure (ancora) costoso (rimane tutto il costo della struttura e del personale), concepito come dopo-lavoro per sindaci distolti dalle loro (reali) funzioni.
Alla maggioranza dei senatori (appartenenti ai più diversi gruppi: da Forza Italia a Sel, passando per il Movimento 5 stelle e il gruppo di senatori che da questo si è scisso, una parte dei vari gruppi centristi e dello stesso Pd) piace un Senato elettivo, come, ad esempio, quello disegnato dalla proposta che, prendendo spunto da quella che io stesso (ben prima del Governo) avevo depositato alla Camera, hanno presentato Chiti, Mineo, Tocci e molti altri senatori sia del Pd sia di altri gruppi parlamentari. Proposta che disegna un Senato molto più snello, razionale, utile e efficiente, non solo di quello attuale, ma anche – e soprattutto, appunto – di quello del Governo. Il Governo, però, dopo avere giustificato il “patto del Nazareno” (cioè l’incontro del nuovo segretario del Pd con Berlusconi e Verdini) sulla base della necessità di procedere con riforme (elettorali e costituzionali) condivise, ritiene oggi che lo spirito delle riforme costituzionali sia quello – cito testualmente – dello “schiacciasassi” (non avendo ben chiarito se i sassi siano gli articoli della Costituzione o i parlamentari rappresentanti dei cittadini, sembrando, in realtà, che si sia intanto partiti da questi ultimi per arrivare poi ai primi).
Infatti, in Commissione Affari costituzionali del Senato, dove la riforma è partita, si è subito visto che per il bizzarro Senato disegnato dal Governo non c’erano i numeri (che c’erano, invece, per una diversa riforma costituzionale che avesse come base la proposta Chiti, i cui sostenitori si sono mostrati disponibili anche a una mediazione, che, sulla composizione, potrebbe essere costituita dal testo che io ho presentato alla Camera). Ecco, che allora, nel procedere spediti (e qui verrebbe da chiedersi: spediti come sulla riforma della legge elettorale che ora giace da tre mesi in un cassetto del Senato perché nessuno la vuole più?), si sono voluti eliminare gli ostacoli, cioè i senatori non disponibili a sacrificare le proprie idee alla volontà – incontestabile – del governo.
Non disponibili, cioè, a rinunciare alla funzione di controllori del governo (anziché di controllati dal governo).
Non disponibili – diciamo ancora e soprattutto – a sacrificare la propria funzione di rappresentanza della nazione alla logica di appartenenza partitica. Già, perché, negli ultimi giorni, abbiamo dovuto sentire anche questa: “ma chi rappresenta Mineo?”. Semplice: la nazione. Come tutti noi che abbiamo avuto l’onore di essere eletti. Magari con una brutta legge elettorale, cosa che dovrebbe spingere a cambiarla e tornare a votare (come chiedo da un anno), ma che non toglie che, finché siamo in Parlamento – come ha detto la Corte costituzionale – rappresentiamo la nazione, cioè tutti i cittadini. Che non è poco. E per questo dobbiamo controllare il governo, che invece non lo ha eletto proprio nessuno.
I parlamentari hanno, insomma, il divieto di mandato imperativo proprio perché non devono essere soggetti a ricatti e ritorsioni, neppure (anzi, direi soprattutto) dal proprio partito.
È evidente che abbiamo rovesciato tutto. Non è la prima volta, purtroppo. Ma questa volta l’evidenza e la gravità dei comportamenti risultano particolarmente evidenti. Sembrano quasi un caso di scuola.
Per di più, se la rottura delle regole fondamentali con cui si decide è sempre la peggiore delle violazioni, nel caso di specie ha un risvolto davvero bizzarro. Come ho già detto – e ha ben spiegato ieri Mineo – non serve a nulla. Infatti, sulla riforma governativa non sono d’accordo – oltre che una parte della maggioranza, che comunque sarà poi chiamata a votare in aula (dalla quale i senatori non possono essere espulsi, né per indicazione del governo né di qualche capo-partito) – tutte le opposizioni. Non solo quelle sempre ignorate o emarginate (come Sel e il Movimento 5 stelle) ma anche quella molto corteggiata (e con cui si sottoscrivono segreti patti) di Forza Italia. I numeri, quindi, mancano comunque. Almeno in aula.
Se Renzi pensa di portare a Berlusconi lo scalpo di Mineo e di Chiti, fa un errore di valutazione: il testo Boschi passerebbe in commissione, ma non in aula, dove le perplessità riemergerebbero, a maggior ragione dopo l’umiliazione costituzionale di ieri.
Se invece intervenisse Verdini, il vero signor Wolf di questa vicenda molto pulp, allora non ci sarebbe bisogno di defenestrare i senatori del Pd. Si voterebbe la riforma Renzi-Berlusconi, come già è successo con il mirabile Italicum, una legge elettorale talmente brutta che chi l’ha votata finge di averla ricevuta dai marziani.
Sarà quindi stata messa da parte quell’idea, pure balenata negli ultimi giorni, sempre con l’approccio dello schiacciasassi, di bypassare la commissione e andare direttamente in aula. Che anche per questo, c’è una regola costituzionale: l’articolo 72, che impone, prima di passare in aula, l’esame in Commissione. Ma le regole in questo Paese, purtroppo, non sembrano andare di moda: né quando si riforma la Costituzione né quando si affidano gli appalti, con le conseguenze che vediamo.
Forse tornare al rispetto delle regole e a un po’ di senso delle istituzioni, spegnendo lo schiacciasassi, ci aiuterebbe ad affrontare meglio tutte le questioni. In modo semplice e corretto, per restituire alla politica – e ai politici – credibilità. Quella che anche oggi è stata di certo perduta un altro po’.
P.S.: ieri Giachetti, vicepresidente della Camera, dichiarava in aula di votare in modo difforme dal governo sull’emendamento della destra a proposito della responsabilità civile dei magistrati. Un emendamento che, con il voto segreto e l’approvazione di molti deputati Pd, sarebbe poi passato. Perché non si adottano le stesse misure alla Camera che si adottano al Senato, a proposito di compattezza del gruppo e di rappresentanza nei luoghi che contano? Lo dico provocatoriamente, ma quando si fanno le cose così, si dovrebbe almeno essere conseguenti. Immagino che oggi Giachetti, esponente della maggioranza del Pd, si dimetterà, in coerenza con la decisione di Renzi e di Zanda (sì, ciao).