Noi, gli europei che vogliono partecipare
A meno di due settimane dalle elezioni europee sembra che in molti – troppi – non intendano andare a votare.
Speriamo che non sia così, speriamo di convincere ancora molti elettori a partecipare ad andare a scegliere i propri rappresentanti al Parlamento europeo, dove verranno prese molte delle decisioni che li riguardano.
In questo caso, tra l’altro, la legge consente a ciascuno di scegliere la candidata preferita (o il candidato preferito), potendosi esprimere fino a tre preferenze.
La ragione per cui molti elettori, almeno a oggi, non vorrebbero andare a votare sono da ricercare nella incapacità dei politici di avere saputo dare le risposte che i cittadini si aspettavano e questo anzitutto perché i cittadini non sono stati ascoltati. Anzi, a loro non sono state fatte spesso neppure le domande.
È per questo che ho sempre sostenuto che il nostro partito si confrontasse con gli elettori in modo diverso. Anzi, in tutti i modi possibili. Prima di tutto, andandoli a trovare. Però dobbiamo trovare strumenti per consultarli meglio, non solo nelle campagne elettorali, ma anche tra un voto e l’altro. E oltre alle modalità di consultazione più spontanee, oggi agevolate dalla tecnologia, dobbiamo anche rivitalizzare la partecipazione istituzionale, con il referendum e l’iniziativa legislativa popolare, ad esempio.
Il referendum è stata una risorsa formidabile per realizzare il cambiamento in questo Paese. Negli anni Settanta come all’inizio degli anni Novanta. E non è un caso – probabilmente – che negli ultimi vent’anni si sia assistito per la prima volta a una battuta d’arresto della tutela dei diritti e, insieme, alla sostanziale sottrazione agli elettori dello strumento del referendum.
Infatti i conservatori delle leggi vigenti (spesso anch’esse conservatrici, come quella sulla procreazione medicalmente assistita) hanno utilizzato la regola per cui per l’abrogazione deve avere partecipato al referendum la maggioranza degli aventi diritto per unirsi agli astensionisti (cronici) non andando a votare (anziché andare a votare «No») e impedendo così alla grande maggioranza dei votanti – che si era espressa per il «Sì» – di riuscire a eliminare la legge. Su questi temi sto lavorando anche in Parlamento (dove ho già proposto un abbassamento del quorum per la validità del referendum) e presto presenterò (altre) proposte di legge in questo senso, anche in vista dell’inserimento di più ampie forme di partecipazione.
Questi strumenti devono essere autentici e non rappresentare semplicemente un voto finale a decisioni interamente elaborate e assunte dai politici nel chiuso di quattro palazzi.
Questa, infatti, non sarebbe partecipazione ma semplicemente una claque per il potente di turno. E non ci sarebbe niente di innovativo. Per essere autentica e quindi consapevole la partecipazione deve partire da una adeguata informazione, dalla conoscenza delle questioni che si affrontano, alla cui istruttoria peraltro gli stessi cittadini, partecipando, possono contribuire.
La strada indicata – che mi pare fondamentale per riavvicinare i cittadini alle istituzioni – deve essere perseguita non solo per le decisioni da assumere in Italia, ma anche per quelle di competenza dell’Unione europea. Qui gli strumenti di partecipazione possono anche svolgere la funzione di aggregare cittadini di diversi Paesi, di fare finalmente scomparire i confini (perché questo era stato da subito l’obiettivo delle Comunità con la libera circolazione, anche delle persone, appunto), di creare davvero un popolo europeo.
Da questo punto di vista l’informazione diviene ancora più importante perché spesso i cittadini europei non sanno neppure bene che cosa fanno le istituzioni dell’Unione, sia nel senso che non ne conoscono bene le competenze sia nel senso che non vengono informati (adeguatamente) dei temi che queste stanno trattando. Tuttavia, l’Unione ha già messo a disposizione alcuni strumenti, che i cittadini, soprattutto in Italia, utilizzano troppo poco, di consultazione e di dibattito pubblico per far sentire la propria voce in Europa. Per realizzare una politica interattiva, al fine di migliorare le scelte pubbliche.
L’Unione europea conosce anche uno strumento di democrazia diretta più classico come quello dell’iniziativa dei cittadini europei che consente a un milione di cittadini europei presenti in un certo numero di Stati di prendere direttamente parte all’elaborazione delle politiche europee, invitando la Commissione a presentare una proposta legislativa in una determinata materia, secondo le indicazioni che essi stessi forniscono. Da questo punto di vista, ad esempio, guardiamo con molto interesse all’ICE “New deal 4 Europe”, sostenuta anche da Prodi e Cohn Bendit, che ha come oggetto un piano di investimenti pubblici per fare uscire l’Europa dalla crisi tramite lo sviluppo della società della conoscenza e la creazione di nuovi posti di lavoro soprattutto per i giovani.
In questo senso essa si prefigge di realizzare un programma straordinario di investimenti pubblici dell’Ue per la produzione e il finanziamento di beni pubblici europei e di creare un fondo europeo straordinario di solidarietà per nuovi posti di lavoro, soprattutto per i giovani, incrementando le risorse proprie del bilancio europeo tramite una tassa sulle transazioni finanziarie e una carbon tax. A questi strumenti dobbiamo dedicare maggiore attenzione prima di tutto come cittadini, sapendo che ci consentono di partecipare, di pesare, di portare avanti scelte politiche che incidono su tutti noi.
A questi strumenti dovrebbero dedicare maggiore attenzione anche i partiti politici, a loro volta strumenti attraverso i quali, ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione, i cittadini partecipano con «metodo democratico» alla determinazione della politica nazionale e ora anche europea. E che per questo potrebbero agevolare i cittadini anche nell’utilizzo degli strumenti di partecipazione. Fermo restando che le forme di partecipazione già previste, oltre a essere utilizzate, devono essere ampliate e che su questo c’è il nostro impegno. In Italia e in Europa.