Cosa sta succedendo al PD
La prima, clamorosa notizia è questa: anche i più tenaci sostenitori dello schema Napolitano ne dichiarano il fallimento totale. Renzi lo dice chiaramente da settimane (pro domo sua, sospettano i maligni), Cuperlo ci arriva con veemenza. Così non va. Il governo non funziona. Lo schema già fallito a ottobre con l’uscita di Berlusconi e l’interruzione del percorso delle riforme (il famoso caso dell’articolo 138) viene dichiarato esaurito. Lo stesso Letta, che ne è interprete in tutti i sensi, saluta con favore il ritorno di Berlusconi nel giro delle riforme, dopo avere celebrato come «svolta storica» la sua uscita di scena (un’uscita di scena che non lo era, come si poteva prevedere).
La seconda è che, sempre che si trovi un modo per scalzare Letta (non è così semplice, e Letta a Repubblica dice: voglio vedere chi mi sfiducia), ci sono solo due alternative: tornare al voto o subentrare a Palazzo Chigi.
La prima soluzione è in palese e totale contraddizione con quanto Renzi ha detto e fatto fino a ieri: le riforme costituzionali necessitano di almeno un anno di tempo (poi, come dovrebbe essere noto a tutti, più che le elezioni c’è il referendum sulle modifiche costituzionali) e la stessa riforma che si è inteso promuovere (con Berlusconi, dettaglio fondamentale, che ritornerà poche righe più sotto) è molto laboriosa. Il Mattarella avrebbe permesso, ad esempio, un iter molto più veloce (anche perché ridisegnare i collegi del Mattarella sarebbe stato molto più immediato). Anche se al semestre europeo e all’enfasi che lo ha accompagnato non crede più nessuno (anzi, è lo stesso segretario del Pd a dire che si può votare anche durante), è comunque difficile immaginare che si voti nel 2014. A meno di non farlo con il proporzionale della Consulta.
La seconda soluzione è impervia, e non solo perché c’è il precedente di D’Alema. A questo proposito, tra l’altro, Renzi è riuscito a mettere insieme entrambi i precedenti di D’Alema e Veltroni: ipotizzando il subentro e provocando la fragilità del governo in carica con mossa deliberata (non c’è il Bertinotti della situazione, per capirci). Il paragone con D’Alema funziona fino ad un certo punto, perché Cossiga (per capirci) al governo in questo caso c’è già, e quella volta si mandò a casa Prodi.
Il vero problema non è quindi quello della maledizione di Tutankamon ma il fatto che sarebbe il terzo governo (quarto, se si conta la «svolta storica» di ottobre) che nessun elettore ha scelto, da tre anni a questa parte: Monti, Letta, Letta-dopo-svolta-storica, Renzi. E per quanto mi riguarda questo è un problema insuperabile, e lo è sempre stato. Fin dall’inizio, quando le cose con cui ho aperto il post le dicevamo in cinque.
Certo, il Renzi I rinnoverebbe lo schema Napolitano, ma per farlo dovrebbe confermare l’alleanza con Alfano, le due Scelte Civiche, i fuoriusciti e poco altro. Che è il secondo elemento problematico della vicenda e che apre a scenari diversi, che il Fatto e il Manifesto oggi rilanciano: rispettivamente, aprendo ai «prigionieri politici di Grillo» (modello scouting) per allargare la maggioranza, come titola di Padellaro, ovvero riesumando lo schema Bersani (quello che all’inizio della legislatura i renziani avversavano dichiaratamente), come scrive Norma Rangeri. Uno schema che prevede l’astensione o l’ingresso in maggioranza di Sel (o di una sua parte, non tsiprasizzata), di un pezzo di M5s, con un Alfano ridimensionato.
C’è un’ultima possibilità ancora più clamorosa, in questa evoluzione delle larghe intese: che si affermi quanto Berlusconi diceva qualche settimana fa. Un governo di tutti, da Sel a Fratelli d’Italia. Quando lo disse, tutti risero. E motivi per farlo, intendiamoci, ce ne sono parecchi. Ma le larghissime intese sono confermate da quanto Berlusconi ha confidato ai suoi, nella cena – più riservata del solito – a Palazzo Grazioli di mercoledì sera. In questo caso, le larghissime intese delle riforme, che ho definito contraddittorie rispetto alle cose udite ieri in direzione, troverebbero conferma anche nello schema di governo.
Insomma, siamo di fronte a due alternative pasticciate quasi quanto quella – Letta bis – che tutti ora rinnegano, dopo averla sostenuta per settimane. Il mio modestissimo consiglio è quello di tornare a votare presto: abbiamo fallito, lo dicono tutti, anche in modo parecchio ingeneroso nei confronti di Letta, per cui alcuni «tifavano» e altri erano «lealissimi» al punto da passare sopra a tutto quanto (a cominciare dal voto sulla mozione Giachetti, foriero di sventure, e dal caso Alfano per finire con il salvataggio collettivo della ministra Cancellieri). A questo doveva servire l’accelerazione di queste settimane. O, almeno, così avevo capito accadesse, come tanti altri elettori del Pd.