Cosa fare sulle carceri
Leggo molti commenti ipocriti sulla questione carceri.
Prendere le distanze dalle soluzioni proposte del Colle non è coraggioso, è molto facile. Popolarissimo e banalissimo dire che le persone che devono stare in carcere stiano in carcere.
Il problema è come. E la civiltà fa parte del concetto di legalità, anzi, mi dispiace, lo precede.
L’ipocrisia però fa rima anche con amnistia. Perché è una soluzione che dovrebbe essere preceduta da una forte autocritica, da un’analisi più complessiva di come funziona la giustizia, che affronti la complessità di un fenomeno che porta in carcere soprattutto (se non esclusivamente) alcuni tipi di persone.
Perché bisogna essere chiari: se si procede in questa direzione, si sappia che stiamo parlando di chi è in carcere per reati legati agli stupefacenti. E spesso si tratta di stranieri. Qui si deve intervenire, senza troppi giri di parole, innanzitutto provando a cambiare la Fini-Giovanardi: farlo con Giovanardi, esponente della destra filogovernativa, non sarà facilissimo. Altro passaggio dettato dall’attuale situazione, che spesso invita, appunto, all’ipocrisia.
E qui veniamo all’ipocrisia suprema: ci sono i voti in Parlamento per fare questo? Secondo me non ci sono. I duecento parlamentari che hanno dichiarato il loro appoggio a Renzi (che immagino lo seguano nella sua contestazione alla lettera di Napolitano) si aggiungono ai grillini e ai leghisti, ai destri di ogni genere e tipo che si sono già dichiarati contrari più o meno a qualsiasi soluzione.
Per questo, e scusateci per la lunghezza, con Salvatore Tesoriero vi proponiamo la nostra via d’uscita dalle contrapposte ipocrisie di queste ore:
Il recente messaggio alle Camere del Presidente Napolitano sulla necessità e l’urgenza di un intervento sul cronico problema del sovraffollamento carcerario è precipitato sul mondo politico come un dardo infuocato. Acceso il dibattito, questo si è fatto immediatamente incandescente sull’opportunità di adottare provvedimenti di clemenza (amnistia, indulto), attizzato da un lato dagli indulgenti dell’ultima ora (che si scoprono tali nella speranza di lucrare briciole d’impunità per il condannato e plurimputato celebre), dall’altro da novelli campioni di legalità, anch’essi impegnati a lucrare briciole, in questo caso di consenso.
Stritolato, come sempre nel surreale dibattito politico, il merito del problema posto. Strabismo della propaganda: scrive sovraffollamento e dignità della detenzione, leggono indulto e amnistia.
La costrizione del dibattito nelle maglie infuocate dell’opzione favorevole/contrario (all’indulto e all’amnistia) priva le risposte della indispensabile attenzione e serietà. E senza attenzione e serietà vi è solo demagogia.
Il sovraffollamento carcerario non solo esiste (è nei numeri, 64.758 detenuti al 30 settembre 2013 a fronte di una capacità regolamentare di 47.615 posti), non solo chiama a provvedimenti urgenti (com’è noto il 28 maggio 2014 scade il termine posto dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo per realizzare misure di contenimento del sovraffollamento penitenziario ed evitare al nostro paese centinaia di condanne per violazione della Convenzione), ma è soprattutto un problema di legalità.
Le attuali condizioni di detenzione nel nostro paese violano il divieto degli Stati di sottoporre gli individui a trattamenti inumani e degradanti posto dall’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (C. Edu, Torreggiani e altri contro Italia). In altri termini, ogni giorno, a causa del degrado e dell’insopportabile sovraffollamento in cui versano le nostre carceri, lo Stato si pone in una condizione di illegalità, violando la Convenzione.
Il bisogno – etico e giuridico – di rispettare la legge, insomma, impone di misurarsi con le misure per attenuare il problema del sovraffollamento. Chi liquida il problema agitando la legalità come il principio che verrebbe leso dai provvedimenti clemenziali ricorre ad uno slogan doppiamente inopportuno perché in questo caso il rispetto della legge è il motivo dell’intervento.
Quando si alza il vessillo della legalità, insomma, bisogna conoscerne e rispettarne il peso. Se no si viene travolti.
Perciò è fondamentale che la sacrosanta esigenza di intervenire su una materia delicata come questa vada presidiata con estremo rigore, competenza e attenzione per evitare un duplice tipo di rischio: da un lato, che l’occasione, ingolosendo i tanti ladri di Stato, possa essere il cavallo di troia per garantire piccole o grandi forme di impunità alla cerchia del malaffare che cinge la macchina legislativa fino – talvolta – a sovrapporvisi; dall’altro, che un provvedimento generico, insulso e vagamente buonista (buono, insomma, per lavarsi la coscienza) faccia pagare costi salati alla collettività in termini di aumento della criminalità. E così rendere sì l’indulto un insulto, come qualcuno ha scritto.
C’è un solo modo per neutralizzare questi rischi e attiene al contenuto dell’intervento attraverso il quale si intende affrontare il problema.
Per noi è indispensabile:
a) che i provvedimenti clemenziali (indulto/amnistia) siano adottati a valle di un intervento sistematico che operi sia sui flussi d’ingresso in carcere (riducendoli) sia sulle maglie d’uscita dal circuito penitenziario (allargandole per i detenuti meno pericoli). Bisogna finirla, insomma, di guardare alle misure straordinarie come fossero misure ordinarie: l’indulto e l’amnistia sono misure straordinarie, misure tampone. Non curano la patologia, ma ne alleviano sintomi e manifestazione.
Agire sulla struttura non è utopia. Come ricordato da Napolitano, vi è già un disegno di legge delega approvato dalla Camera e ora in Senato che introduce la possibilità per il giudice di applicare la messa alla prova per reati meno gravi e la detenzione domiciliare come pena principale.
Modifiche piccole, ma importanti. A questo vanno affiancati interventi, anche questi ricordati da Napolitano, sulla custodia cautelare, sul trasferimento dei detenuti stranieri nei loro Paesi d’origine per scontare la pena, oltre ai, troppo spesso solo evocati, interventi di depenalizzazione di reati di minima gravità.
Su questo versante, vi sono, inoltre, due tipi di intervento poco valorizzati ma decisivi per razionalizzare il ricorso alla detenzione carceraria.
Il 40% circa dei detenuti è in attesa di giudizio: è fondamentale agire sulla leva della custodia cautelare elevando la restrizione domiciliare a misura custodiale principale, salvo i casi in cui le esigenze cautelari siano di particolare gravità.
Per selezionare efficacemente la popolazione carceraria bisogna impegnarsi a conoscerla. Il carcere è la casa degli ultimi. Per renderla più vivibile bisogna agire sui reati degli ultimi. Un quarto dei detenuti è in carcere per reati connessi all’utilizzo/spaccio di sostanze stupefacenti. E’ indispensabile superare l’ottuso rigore della legge Fini-Giovanardi e, soprattutto, investire sulle strutture socio-riabilitative come centri dove scontare la maggior parte della pena. I reati in materia di stupefacenti necessitano, in linea di massima, di una risposta in termini di assistenza più che di carcere.
b) a valle degli interventi strutturali può essere adottato un provvedimento clemenziale (amnistia/indulto) purché siano attentamente selezionati:
1. i reati da includervi (solo reati la cui estinzione/condono abbia effetto sul sovraffollamento perché le relative pene sono tendenzialmente eseguite in carcere – per lo più reati contro il patrimonio e stupefacenti – con esclusione di quelli che hanno impatto sulla detenzione limitato nonostante la gravità – reati contro la pubblica amministrazione -)
2. i soggetti destinatari (con esclusione dei soggetti gravati dalle più gravi forme di recidiva)
3. la disciplina: non cumulabilità con precedenti provvedimenti di clemenza (un imputato più importante di altri non ne sarà lieto, ma tant’è); reviviscenza della pena indultata in pena da espiare in caso di nuovo reato.
4. con particolare riferimento all’indulto: il limite di anni di pena condonata, che andrebbe limitata ad un periodo ben più ridotto di quanto suggerito da Napolitano. Un anno di indulto interesserebbe una platea di oltre 10.000 detenuti sufficiente – insieme agli altri prospettati interventi ad avvicinare notevolmente la soglia di capienza regolamentare senza costi reali sulla recidiva stante l’esiguità del residuo pena.