Un piano sequenza
Un piano sequenza lungo come l’A4. C’era il sole, sulle Alpi, questa mattina. E poco traffico, perché c’è la recessione (qualcuno dice che ai caselli autostradali fa meno venti). E il cielo di Lombardia, così bello quando è bello. Così splendido, così in pace.
E ho pensato, correndo dalle anguane della Lessinia alla groppa-minaccia del dinosauro (il Resegone, come lo descriveva Gadda), passando sotto gli autogrill, ammirando tra un tir e l’altro la corona alpina che splendeva e che però per la politica italiana è diventata come una siepe leopardiana (che era di Recanati, fuori zona, ma certe cose le capiva), alla lunga storia che ci portiamo dietro, in questa pianura lunga vent’anni.
E ho pensato alle scritte sulle autostrade che non ci sono quasi più, ai cappi in Parlamento, agli anni verdi in cui tutto era di quel verde, ai fuori dalle palle, ai terroni da mandare a casa, agli albanesi da mandare a casa, ai marocchini da mandare a casa, a Berlusconi mafioso da mandare a casa, salvo poi tenerselo per altri quindici anni, al dito medio che mimava lo spadone e al dito indice da alzare per tutte le leggi vergogna che si potessero immaginare, al nucleare che andava bene ma solo nella regione a fianco, all’acqua delle ampolle da privatizzare, al localismo esasperato e all’invenzione delle radici alla bisogna, alla difesa strenua del piccolo commercio con il proliferare dei centri commerciali, al sistema elettorale fatto per fare una porcata e ai maiali anti-moschea per rimanere in tema, ai ministeri di Monza e a tutti quei ministri del Nord che non hanno saputo far bene al Nord e al Paese, al ‘sacro’ suolo consumato, alle ronde che giravano su se stesse, agli indiani delle riserve che saremo noi, tra qualche anno, se continueremo con questo provincialismo, e agli indiani che si svegliano alle cinque a mungere le vacche, clandestinamente, alle cattiverie nei confronti di tutti i diversi (ma proprio tutti, e che risate sulle bonazze e sui culattoni), alla guida Michelin delle ordinanze con una multa diversa in ogni Comune per fare colore e un po’ di araldica, al dialetto brandito contro l’italiano (figuriamoci l’inglese, recuperato solo in articulo mortis con The Family, manco fossero i Robinson), alle mense negate e ai solidellealpi dappertutto, in una scuola di provincia, ai salvataggi di Roma e Catania, al ponte sullo Stretto, alla sindrome di Lampedusa, ai clandestini che si vedono benissimo, alle tasse e alle lungaggini per i permessi di soggiorno, alla cittadinanza negata a tutti i costi per via del sangue e del suolo, ai posti riservati ai milanesi, all’assistenzialismo familiare, ai doppi e tripli incarichi, alle leggi fatte solo per i residenti con il record di chi dice che ci si ‘merita’ i servizi comunali solo dopo diciotto anni di residenza, neanche si trattasse della maturità, alla maturità del Trota bocciato dai terroni che infatti non devono insegnare qui da noi, alla volgarità dappertutto.
E potrei continuare: del resto, questa storia, lunga come un fiume, la trovate tutta qui. Scritta in tempi non sospetti, ma già abbondantemente sprecati.
Ecco, ora sono arrivato al casello, e vorrei voltare pagina.