Il valore «legale» del titolo di studio
Abbiamo detto della «società stretta» e della Lega, qualche giorno fa. A parte i nomi. Balocchi (pace all’anima sua) che presenta Belsito a Bossi, che a lui si affida, dalla Padania alla Tanzania, forse per via della rima. Cantamessa la collaboratrice che dichiara di più. Degrada quella più preoccupata che la situazione precipiti. Moscagiuro il compagno di Rosi Mauro. Marmello, l’autista del Trota. Che a un certo punto filma.
Se è un complotto, c’è parecchio lavoro letterario, dietro le quinte.
La cosa che colpisce più di tutte, però, è questo bisogno del titolo di studio. Del pezzo di carta. Qualcuno potrebbe scherzare: è il terrore di rimanere sans papier. Ma la battuta non funzionerebbe.
No, serve la laurea. Chissà, come fosse un titolo per contare di più, perché la provincia condiziona, non ce n’è. E a Palazzo poi si fanno figure. Però è strano, perché è storica la battaglia leghista contro gli intellettuali. Contro i professori. Contro quelli della sinistra accademica. Però, la laurea no, quella ci vuole. A tutti i costi, è proprio il caso di dirlo.
A Bossi Jr, ok, la laurea serve per via delle maturità complicate. E si va a Londra, allora, anche se tra Varese e Brescia di università capita di incontrarne. E poi titoli anche per gli altri, mica solo per The Family (espressione londinese). E per prendere la laurea, pare si fosse disposti a spendere cifre colossali.
Tutto questo muovendo, paradosso dei paradossi, da un’esperienza non proprio edificante, quella del capostipite che, quanto a lauree, leggenda vuole ne abbia festeggiate tre senza averne mai ‘ottenuta’ alcuna.
E tutto mentre molti si interrogano circa la necessità di superare definitivamente il valore legale del titolo di studio.
L’Italia è un Paese strano. La padania lo sarebbe stato ancora di più.