Il colpo e la colpa
Così, siccome sono preso male, faccio un riepilogo di alcuni avvenimenti degli ultimi vent’anni.
Quando dicevamo, giusto un anno fa, che la Lega non era un interlocutore, eravamo noi a non capire la sottile strategia che ci stava dietro.
Quando dicevamo che si doveva cambiare il regime dei rimborsi elettorali (anni fa, prima ancora della prima Leopolda), ci dicevano che eravamo demagoghi.
Quando chiedevamo trasparenza a fondazioni, gruppi di potere, correnti a testuggine e liste bloccate, eravamo considerati rompiscatole, ossessionati dalle primarie e da «cose che in Italia non funzionerebbero».
Quando auspicammo che Ds e Margherita si presentassero insieme, nel 2006, senza fare pasticci, non ci diedero ascolto.
Quando cercammo di difendere Prodi, la prima e la seconda volta, anche in quel caso eravamo considerati ingenui. Che non capivamo la politica.
Quando dicevamo che il Pd doveva mollare Lombardo, ci dicevano che non capivamo la Sicilia. E infatti Palermo l’hanno capita tutti benissimo.
Quando chiedevamo di lanciarci nelle sfide di Milano e delle altre città al voto nel 2011, ci consigliarono prudenza, perché poi magari si perdeva, e allora.
Quando segnalammo il dato abnorme del tesseramento di Napoli nel 2009, ci dicevano che andava tutto bene, salvo poi cadere dalla sedia, l’anno dopo, per le primarie di cui non conosciamo ancora l’esito.
Quando dicevamo di non liquidare l’antipolitica, di indagare quel rancore che montava, di ascoltare le voci dei nostri ex elettori che andavano a popolare le file dell’astensionismo e dei movimenti civici, ci dicevano che era un errore strategico. Perché era un’operazione fatta contro di noi. Già. Bella scoperta.
Quando parlavamo di astensione, di movimenti, di referendum, facevano spallucce.
Quando chiedevamo di scegliere i parlamentari (cosa ovvia), ci rassicuravano e, nello stesso momento, ci facevano capire che però, in fondo in fondo, non si può.
Quando ci siamo chiesti perché abbiamo messo il limite dei mandati nello Statuto se nessuno ha intenzione di rispettarlo, ci hanno guardato in modo strano. Non vorrai mica rinunciare a questo? E a quello? E a quell’altro?
Quando chiedevamo una lettura politica del caso Penati, e non solo frasi di circostanza, ci davano degli sciacalli (peccato che tutti i penatiani, però, si siano volatilizzati, e chi vi scrive sia tra i pochi che conserva foto e volantini con il suo nome, nonostante da anni ci fosse una lontananza molto marcata tra di noi).
Quando chiedevamo e chiediamo un ricambio logico, di buon senso, naturale, ci davano e ci danno degli stronzi, e in fondo non ci rispondevano. E ancora non ci rispondono. Perché non vuole andare via nessuno. Zero.
Però assicurano che faranno «subito» le cose che non sono state fatte in questi anni. Una legge sui partiti, immediatamente. E anche le norme sulla corruzione che sono una vera urgenza (che urge dal 1999).
E che per fare «subito» queste cose, ci si deve affidare alle stesse persone che non lo hanno fatto. Forse perché sanno come (non) si fanno le cose.
E infine, quando dicevamo che ci saremmo dovuti preparare per il voto fin dal dicembre scilipotiano del 2010 e che, un anno dopo, l’operazione Monti si basava su un equilibrio delicato, alla Nanni Moretti, e che andava bene quindi l’emergenza, ma che non mancavano le insidie (di due tipi: la tenuta di una maggioranza del genere e il facile gioco dei tecnici coraggiosi contro i politici che non accettano la sfida), ci dicevano che sbagliavamo. E che non avevamo il passo da statisti.
Stanno saltando tutti i partiti, in un clima da colpo di Stato per la politica istituzionale, che in verità non è un colpo, ma una colpa. E non dello Stato, ma di chi l’ha guidato. E di chi non ha saputo fare un po’ meglio, per dare segnali più chiari e nitidi. Una cosa è certa: era difficile far peggio di così.
E certo è colpa della destra. E di quelli che stanno saltando, in queste ore. Ma anche noi, guardiamoci in faccia, ogni tanto.
E quando parliamo di riforma della politica, siamo conseguenti. Perché ci vogliono protagonisti, modalità e regole nuove. E se non vi sembrano argomenti sufficienti, mettetela così: perché è già troppo tardi. E dal 1993 siamo già passati. E allora, prima, c’erano i partiti. Adesso ci sono molto meno anche prima. Figuriamoci dopo.