Primarie alla genovese
Non ho partecipato alla campagna elettorale delle primarie genovesi, né intendo approfondire l’analisi che le riguarda, perché altri possono farlo molto meglio di me.
Vorrei sottolineare solo due o tre cose, che mi paiono importanti.
Chi dice che se il Pd avesse avuto un solo candidato avrebbe vinto di sicuro, secondo me adotta un argomento scivoloso e tutto da verificare: Doria è arrivato a un passo dal 50% ed è difficile immaginare che i voti delle due candidate del Pd, date per favorite, si sarebbero sommati tra loro, andando a sostenere una delle due.
Non lo dico solo per ragioni di matematica elettorale: lo dico perché il punto che sembra sempre sfuggire, in queste occasioni, è un altro: moltissimi elettori del Pd, nonostante ci fossero due candidature del Pd, hanno scelto il candidato non del Pd. La cosa che possiamo fare è cercare di considerare questo dato e di capirne le ragioni.
Era già successo con Pisapia, e cercai di documentarlo, con un lavoro commissionato dal Forum Nuovi linguaggi, nuove culture: attraverso gli exit poll di Termometro politico scoprimmo che se un elettore su due tra coloro che si dichiaravano democratici aveva votato Boeri, un elettore su tre tra coloro che si dichiaravano democratici aveva votato Pisapia.
Spero che qualcuno abbia fatto la stessa analisi anche a Genova (la nostra è stata, diciamo, un po’ sottovalutata dalla dirigenza nazionale del Pd) e che tutti d’ora in poi vogliano cambiare prospettiva, nel commentare le primarie.
D’altra parte non è nemmeno vero che il Pd perda sempre le primarie (che, lo ricordo, non si perdono mai, come le battaglie del Che), perché quest’anno, prima di Genova, le aveva vinte sempre un candidato espressione del Pd. A Verona, a Monza (nonostante ce ne fossero tre anzi quattro del Pd), a Parma, a Lecce.
Quello che bisogna fare, a mio modestissimo avviso, è considerare, una volta per tutte, sovrani gli elettori a cui chiediamo di scegliere i nostri candidati. Questo è l’unico senso delle primarie. Che sono di coalizione, perché si è scelto di superare l’autosufficienza del Pd, in nome di una coalizione larga di forze (come i nostri big ripetono tutti i giorni, nella speranza di allargarla ulteriormente), in cui poi gli elettori decidono il da farsi. E il da votarsi, soprattutto.