La sfida del Nord
Ve la dico così: se pensate che la sfida alla Lega sia vinta, vi sbagliate di grosso.
C’è già stato un presidente del Consiglio sobrio, che prendeva il treno, che parlava di Europa ogni volta che poteva, che si batteva (ancora più coraggiosamente) contro l’evasione fiscale, accompagnato da tecnici di fama internazionale, capace di ironie e di formule politiche di grande impatto. E si parlava, anche allora, di liberalizzazioni. E di scelte radicali. Ci si batteva per ‘entrare’ nell’euro, come oggi ci si batte per rimanerci.
Eppure sapete come è andata, al Nord, in questi anni. E la presunzione che il cambiamento potesse venire dall’alto, è stato l’errore più grande. E che tutto si spiegasse da solo, perché era giusto, perché le nostre ricette erano convincenti, il corollario più devastante.
Certo, allora non esisteva l’arma di fine di mondo del default, e la casalinga di Voghera non si chiamava Tina (there is no alternative). Ma non sottovalutiamo il fatto che dalla responsabilità si può passare velocemente al suo contrario, se non ci si cura della relazione con l’elettorato. E delle opinioni invisibili e però decisive di chi si è allontanato dalla politica e non sembra intenzionato a tornarci.
Ecco perché ci sono molte cose da capire ancora, e non ci può limitare alla segnalazione delle contraddizioni della Lega, che pure sfolgorano sotto il Sole delle Alpi. E non ci si può nemmeno fermare alla registrazione della nostra leadership nelle grandi città, perché quella, in fondo, c’è sempre stata.
C’è bisogno di fare una proposta che rappresenti soprattutto la provincia italiana, dove il “rancore” di cui parlava Bonomi non è sparito affatto. Dove il confronto tra “luigini” e “contadini” (il libro è da leggere) cela una frattura che non si può scandagliare con i sondaggi, ma con l’antropologia. Dove il genere british fatica parecchio ad imporsi, e dove i cambiamenti devono essere accompagnati dalla mobilitazione. E dall’umiltà di chi sa che il campo è minato da mille populismi e facilonerie propagandistiche che l’hanno solcato in profondità.
Come ripeto da tempo, se le risposte della Lega erano e sono sbagliate, non possiamo banalizzare le domande. Anche quando sono malposte, anche quando sono fuori bersaglio. Bisogna mettersi al lavoro e in viaggio, lungo il Po, con la preoccupazione (soprattutto!) di risalire gli affluenti. Che sono parecchio influenti, sotto il profilo politico ed elettorale.
Sullo sfondo, certamente, i Monti. Non dimentichiamoci di tutto quello che ci sta in mezzo, però, laggiù, più in basso.
Perché potremmo pentircene. E sappiamo già quanto sia amara l’esperienza.