Il partito degli zero voti
Qualche tempo fa, in occasione di un convegno della CNA, con Andrea Di Benedetto abbiamo immaginato un partito degli zero voti, un partito bello e impossibile che rifiuta cioè il sostegno di questa o quella categoria, per cercare di rappresentare l’interesse generale, senza dovere rendere conto ad alcuna corporazione o gilda tra le millemila che tengono bloccato il Paese.
Come ci ricorda da anni Marco De Allegri nella sua instancabile battaglia per la riforma degli ordini professionali, sarebbe il caso che chi difende strenuamente la propria posizione si rendesse conto che lo stesso fanno tutti gli altri. E che dentisti, farmacisti, notai e tassisti possono avere l’uno bisogno dell’altro, per dirla in termini semplici. E che questo, alla fine, è molto costoso, per tutti.
Pensavo a tutto questo mentre scorrevano le immagini della discussione circa i contenuti della manovra. E mi ha molto colpito che, oltre al richiamo costante ad una maggiore equità (parola magica che non sembra mai riguardare chi la pronuncia), un soggetto da “zero voti” ci sarebbe, ed è proprio il nuovo esecutivo di Mario Monti, che i voti li deve cercare in Parlamento, certo, ma ha a disposizione due armi terribili: la fiducia e lo spettro del default. E che proprio perché espressione degli “zero voti” e della situazione di emergenza avrebbe potuto interrompere il continuum corporativo di questi anni, in modo rivoluzionario. E altamente simbolico. Ed è un vero peccato che ciò non sia accaduto.