Il nostro tempo, il giorno dopo
Che cosa mi piace, già lo sapete. E, però, vorrei aggiungere quello che della due giorni a Bologna è piaciuto a me. Non come “promessa del centrosinistra dei miei coglioni”, come mi ha giustamente definito Sergio Staino, un giorno (ed era affettuoso, non fraintendetemi). Ma come ospite dell’iniziativa. Come cittadino e come elettore del centrosinistra. Perché ciascuno di noi, prima di tutto, è un cittadino. E, nonostante tutto, elettore del Pd e del centrosinistra.
Sono andato a Bologna per capire anch’io, che vi credete? Sono andato ad ascoltare Marco Makkox, ad esempio, che parlava di umanità, interpretandola. Sono andato a sentire Paolo Pileri, che parlava di consumo di suolo. E di suole, per contrastarlo. Sono stato colpito da Fabio Geda e da Ilda Curti. Ho aspettato che arrivasse Michele Emiliano e Giulio Cavalli, evidentemente imbottigliati nel tunnel Gelmini. E mi sono augurato, sinceramente, che questa volta Bersani, alla fine, poi sarebbe arrivato. E con lui il Professore, che abita lì vicino. Ma non fa niente, è andata bene anche così. Anzi, è andata benissimo.
Sono andato per capire se si può costruire un rapporto con i movimenti, con la società civile, con il mondo del lavoro e delle professioni, se ci si può prendere il rischio di parlare di tasse in una piazza (grandiosi Modiano e Taddei) e se si può far parlare chi deve andare in pensione di pensioni, senza che difenda la propria posizione (e Rita Castellani è stata autorevole e precisa, come sempre).
Sono andato per ascoltare Emanuele Toscano, che non ha potuto parlare sabato scorso, a Roma, perché c’erano gli stronzi in piazza San Giovanni. Sono andato per capire se riuscivamo davvero a organizzare quel congresso di nuova generazione, del centrosinistra, con il Pd al centro. Ma non dello schieramento politico (come vorrebbe qualcuno): in centro città, potremmo dire, e al centro di un progetto politico di cui è protagonista.
Sono andato per collaborare con Debora e con tutti gli altri, che erano tanti, tantissimi, e per capire se possiamo davvero essere compagni di viaggio, in questo cammino lungo e insidioso sul quale siamo da tempo avviati.
Ho preso freddo, come tutti, e, con tutti, mi scuso: l’anno prossimo la facciamo prima, l’iniziativa, ma è stata la settimana di spostamento (per lasciare libero il 15 ottobre) a condannarci a temperature polari, perché la temperatura è precipitata. E le correnti (d’aria) hanno fatto il resto.
Alla fine, lo possiamo dire: siamo stati, come sempre, e nonostante la ‘brutta’ fama che ci insegue, autonomi e rispettosi, nella speranza di essere rispettati nella nostra autonomia, però, perché siamo un po’ stanchi delle generalizzazioni e delle banalizzazioni, che non fanno capire un accidenti a nessuno.
Sono stato in piazza e mi sarebbe piaciuto, a un certo punto, che l’avesse organizzata, questa piazza, qualcun altro, per potermela godere fino in fondo, anzi, proprio dal fondo, dalle ultime fila, per capirne ancora di più gli umori, per commentare, per discutere, per poter pensare in modo ancor più libero e appassionato di quanto non sia riuscito a fare.
So che abbiamo, nel nostro piccolo, una grande responsabilità. Il bello è che, come tutto il resto, l’abbiamo condivisa. Nel bene e nel male, sul Crescentone di Bologna, è successo qualcosa che non era mai successo. Ci siamo accorti che siamo ‘noi’ a fare la differenza. E che solo se saremo ‘noi’, senza farci cambiare dalle cose, ma cercando di cambiarle, le cose, ce la faremo.
Una sensazione difficile da trasmettere a chi non c’era, e che forse non è una notizia, ma è la sensazione giusta, un clima, un’atmosfera, un senso comune da non perdere mai di vista. E da portare a casa, proprio come quel cartone della pizza che abbiamo distribuito. Un cartone che arriverà nelle case degli italiani solo se saremo noi a portarcelo. Chiedendo, in cambio, a tutti, di uscire di casa. Perché è il tempo di fare così.