Il solito, grande equivoco
Del centrosinistra italiano. Pare che l’alleanza Pd, Idv e Sel sia, secondo alcuni, troppo sbilanciata a sinistra. E non rappresentativa dei moderati. Lo dicono soprattutto i moderati. I moderati del Pd. Che nel Pd, quindi, ci sono e rivestono incarichi importanti. Anzi, i massimi incarichi politici. E contano molto più di chi scrive, nel Pd.
Ci vuole Casini, almeno, e ci vuole che rientrino nella coalizione i moderati del Pd che sono usciti dal Pd, come Rutelli, ad esempio. Fini, a questo punto, lasciamolo andare, che è un po’ di destra e poi non ha nemmeno i voti.
Al di là dei dati che ci sono quotidianamente offerti dai sondaggi e che ci dicono che l’alleanza dei tre partiti è la migliore soluzione per il Pd, che ora ha dieci punti di vantaggio sulla destra e che può credibilmente vincere con questo sistema elettorale e addirittura migliorare il risultato con il Mattarellum, ci sono una serie di fallacie nell’argomentazione che vorrei rilevare, una volta per tutte.
Per prima cosa si continua a guardare la politica a partire dai partiti, e non dagli elettori. Gli elettori che votano e, anche, quelli che non votano, che rappresentano almeno un terzo del totale. Con buona pace del progetto politico e della vocazione maggioritaria di cui abbiamo straparlato per molti anni, prevale, anche in chi ha fondato il Pd proprio per superare questo schema, la logica politica delle alleanze tra partiti. E poco altro.
In secondo luogo, si sostiene che facendo l’alleanza di centrosinistra si corre il rischio di ripetere l’Unione del 2006, e siamo tutti d’accordo, peccato che nell’Unione del 2006, oltre agli ‘estremisti’ di sinistra, che oggi sono puntualmente richiamati dai moderati, c’erano anche gli ‘estremisti’ di centro, come Mastella e Dini. Moderati, moderatissimi anche loro.
La verità è che gli strateghi delle alleanze dovrebbero scegliere tra allearsi con Vendola o con Casini, perché allearsi con Vendola e con Casini esaspererebbe il rischio di cui parlano.
In più, gli elettori di centrosinistra – che si percepiscono come tali – si chiedono come si potrebbe governare con chi non solo è lontano da noi sui diritti civili (argomento che con i moderati del Pd non siamo mai riusciti ad affrontare, per altro), ma anche sul lavoro, sulla laicità delle istituzioni, sui servizi di pubblica utilità e su tante altre cose che riguardano il governo del Paese.
L’alleanza tra Pd, Idv, Sel e Udc sarebbe proprio quell’Unione incapace di decidere di cui parliamo da tempo.
Spostandosi sul versante più ‘tecnico’, si dimentica, infine, che allearsi con chi è terzo, fa perdere a questo terzo la metà dei voti, come sanno tutti gli analisti, da sempre. E in questo caso ci sarebbe il paradosso di allearci con l’Udc per qualche punto percentuale, perdendo molti voti a sinistra e non raggiungendo quell’elettorato che non vota che sembra non interessare a nessuno.
Ma l’argomento degli argomenti non è nemmeno questo. L’argomento è che un’alleanza siffatta sarebbe ingovernabile e quindi inadatta a governare.
Per rispondere, dirò così: che se c’è qualcosa che manca, all’alleanza Pd, Idv e Sel, perché sia governabile e in grado di governare, non è l’apporto di altri moderati, che già ci sono, e che vorrei capire come intendono presidiare il campo moderato, senza concederlo in outsourcing all’Udc, come sembrano voler dire e fare. Quello che manca è una componente civica e rappresentativa della società civilissima che si è manifestata in questi mesi, delle competenze e delle qualità diffuse nel sistema Paese. Manca una leadership credibile e innovativa. E manca un lavoro comune per costruire un progetto politico basato sulla condivisione delle scelte e la partecipazione delle persone.
Quello che manca è un orientamento della politica istituzionale che si rivolga agli elettori, con proposte condivise, da proporre all’unisono, e non con quel coro di voci disordinate che ha scorato gli elettori. E che ci ha inimicato mezzo Paese.
Quello che manca è la proposta di un Parlamento che sia, per la nostra parte, un’assemblea costituente, composta da persone che siano scelte dai cittadini e rappresentative delle loro comunità e non delle correnti dei partiti, o dei familiari (inteso in senso lato, ma anche molto stretto) che si continuano a vedere sulle cronache politiche, nonostante i tanti richiami al merito, alla qualità e alla misura.
Quello che manca è una campagna politica ed elettorale che si rivolga agli elettori non perché sono dell’Udc o dell’Api (che poi bisogna trovarli e non è mica così semplice), ma che si rivolga al mondo del lavoro e dell’impresa, agli studenti, alle donne e ai giovani e a chi vuole cambiare il Paese. Ciò vale sempre, ma vale soprattutto ora, in un momento in cui tutto sembra finalmente muoversi dopo anni di immobilismo e di blocco psicologico e politico. E magari cercheremmo l’Udc in un posto dove non si trova più, perché nel frattempo si è spostata.
Quello che manca, quindi, è un passaggio rigoroso e vigoroso dalla convenienza alla qualità, dalla chiacchiera politicista delle alleanze alla costruzione di un progetto politico, talmente serio e rappresentativo da riuscire a comporre consenso e competenze. Sapendo che il momento è di quelli tosti, perché dentro ci sono le correnti mentre fuori c’è un fiume in piena.
In sintesi: per vincere non dobbiamo cambiare alleanza, dobbiamo cambiare politica. E scusate se è poco.