Non sono lombardi, no, sono padani
La Lega, confusa e infelice, ci riprova. Il limite della residenza passa da cinque a quindici anni, per accedere alle graduatorie dei servizi essenziali. Il criterio varrà anche per i bambini e per la scuola, perché la residenza in quel caso non è la loro, ma quella dei genitori.
La crisi invita a chiudersi ancora un po’. A discriminare quelli che vengono da Timbuctu o dai Balcani, ma anche quelli che provengono da Piacenza o da Novara. Se non sei stato in Lombardia per quindici anni, ti arrangi. E non importa che la Lombardia sia, da sempre, il luogo dell’incontro, dello scambio, del commercio e della realizzazione di sé. Della ricchezza che cresce, grazie ai cervelli e le braccia di tutti quelli che ci sono arrivati, da sempre e da lontano. Cervelli e braccia che in tempi di crisi valgono meno e si possono maltrattare, con il consenso di tutti.
Ai leghisti questa idea della residenza piace parecchio: loro la regione la concepiscono così, con il divieto di accesso ai non residenti. Come una ztl. La introdussero per le case, per l’abbonamento dei tram, alcuni ci provarono anche per limitare ai residenti i servizi socio-assistenziali.
Perché loro no, non sono lombardi. Loro sono padani. Un’altra specie di amministratori. Un’altra idea della politica.
Hai studiato all’università a Milano, hai conosciuto una ragazza e hai messo su una famiglia e comprato una casa? Quando avrai quarant’anni, sarai lombardo a tutti gli effetti. Prima ti tocca aspettare.
Hai attraversato il mare per lavorare in un cantiere o in una fabbrica, la notte? Quindici anni e puoi potrai fare richiesta per una casa o per la scuola dei tuoi figli.
L’idea non è nemmeno lombarda, ma veneta. E se ne parla anche in Friuli. Chissà se si inventeranno un lasciapassare per il Lombardo-Veneto, questi amministratori lontani dalla Costituzione, perché se uno è lombardo e si trasferisce a Udine (o viceversa), sono guai grossi. Gli tocca aspettare.