Un batter d’ali di farfalla a Nardò
Volevamo cambiare il mondo ma nessuno pare occuparsi dello sciopero degli immigrati di Nardò. Sono i braccianti dimenticati, raccolti in una masseria vicino a una provinciale, nei pressi della zona industriale, nel bel mezzo del Salento della Taranta e delle vacanze.
Lì non c’è il resort alla moda, né l’artigianato e i prodotti tipici. Lì ci sono le tende di Finis Terrae, l’associazione che si prende cura di centinaia di lavoratori, insieme alla Brigata solidarietà attiva. Robe da comunisti.
Per il resto, non se ne occupa nessuno, anche se la tendopoli si vede, per andare al mare. Non lo fa certo la politica, che in questo senso è in vacanza da una vita.
Il cassone lo pagano tre euro e cinquanta. Il viaggio per raggiungere il campo però è a carico dei lavoratori, stipati sul camion del caporale (35 persone al posto delle 10 che potrebbe portare). E se ne vanno cinque euro. E anche per l’acqua: 1,50. E i succhi di frutta, che costano quasi come un cassone riempito: 2 euro. E i panini, pure. Te ne danno quattro per 3,50 euro. Che sono prezzi da chiosco sulla spiaggia.
I caporali sono stranieri anche loro. Fanno tutto. Si sostituiscono alla legge, ai contratti e ai servizi per l’impiego. Come loro, anche la manodopera è etnicamente specializzata: delle angurie si occupano squadre di tunisini, i pomodori, invece, sono multietnici.
Ivan è il leader dello sciopero. È camerunense, ha un viso bello e dolce, ti sembra improbabile che il riferimento dello sciopero sia proprio lui. Lo sguardo tradisce sorpresa e molta tristezza. In profondità. Perché non gli sembra giusto quello che vede. E forse farebbero bene, i politici, ad andarlo a trovare, perché è lo sguardo di Ivan che ci vuole. Per guardare le cose al di là della convenienza. E di quel “qui si è sempre fatto così” che rende incivile il nostro Paese.
Ivan è qui per pagarsi il pensionato universitario al Nord, perché ha 25 anni e studia al Politecnico di Torino. Ora è minacciato. Se lo aspettava: ai caporali non poteva andare giù.
Molti clandestini lavorano, non gli importa dello sciopero, anche alcuni regolari fanno presente che l’estate sta finendo e protestare non porta nulla di concreto. Cose già sentite, qualche secolo fa.
Ma lo sciopero ha funzionato, lo sciopero ha sorpreso tutti. Perché non se lo aspettavano i caporali (e i colonnelli, che stanno alle loro spalle), né i lavoratori. Hanno anche tentato una mediazione: chiedevano sei euro, si è arrivati a quattro, quattro e cinquanta. Troppo poco. E i lavoratori hanno incrociato le braccia. Anche i maliani, che se scioperano i maliani, dicono qui, perché i maliani sono i più disponibili (perché tra i più poveri al mondo), vuol dire che la rivolta sindacale ha proprio attecchito.
Chiedono un decreto perché il caporalato diventi un fatto penale (e non si risolva tutto con una sanzione amministrativa rara quanto modesta), chiedono l’ingaggio diretto con le aziende agricole, chiedono il rispetto di norme banali, anche perché il caporale, per il suo servizio all inclusive, guadagna il doppio per ciascun cassone di quanto percepiscano i raccoglitori. E i soldi quindi ci sarebbero pure, e se ci fosse quella minima legalità da lotte ottocentesche, ci sarebbero anche per i braccianti. E forse si arriverebbe a rispettare il salario previsto dal contratto. Se solo il contratto ci fosse.
Visitare la masseria Boncuri non è però un fatto di archeologia sindacale. No, ci parla della contemporaneità. Dei Cie, sparsi per la regione. Di una legislazione sull’immigrazione scandalosa, parziale e ingiusta com’è. Della retorica della paura e della quotidianità dello sfruttamento. E della politica che manca. E del Paese che non c’è. Perché non si vede un ispettore del lavoro, la guardia di finanza non interviene, e politici e amministratori si tengono a debita distanza. Mica di vedere compromessi una volta per tutte i loro slogan, con il lavoro e la persona al primo posto.
Lunedì ci sarà il tavolo di confronto, finalmente. Lo sciopero è sospeso e tutti attendono un segnale. Ce lo faremo raccontare. Nella speranza che ci sia l’ingaggio, che le aziende vogliano per la prima volta prendere in considerazione l’ipotesi (!) di dare lavoro senza passare dai caporali e, insomma, siano esauditi gli auspici dei ragazzi della masseria, che dicono: “Facciamo questo campo perché questo campo non ci sia”. Più. E torni la dignità. E torni la legge. Perché questa storia parla di noi, e un diritto negato a Nardò, colpisce i lavoratori dappertutto. Anche mentre mangiano un’anguria. Per rinfrescarsi. Mentre con gli amici parlano della crisi. E di tutti questi stranieri che ci tolgono il lavoro. Mentre siamo noi, che ci togliamo i diritti. Anche da soli.